Nelle città senza mare chissà a cosa si rivolge la gente per ritrovare il proprio equilibrio? (Banana Yoshimoto, Tsugumi)
Pare che questa citazione abbia furoreggiato sui siti e reti social. Pensavo questo quando mi sono trovata in quel luogo, alla Foce, battezzato, con bella immaginazione e una certa provocazione, Lugano Marittima (e una polemica sul tema era stata innescata tempo fa dal linguista Alessio Petralli). Ormai è una moda diffusa che spesso si rivolge a chi, per varie ragioni, non può veramente raggiungere le spiagge delle vacanze estive. E allora si crea una sorta di abusivismo paesaggistico, a volte molto finto, con sabbia importata, persino palme, sdraio e tutto quello che fa tanto “beach”. Che si tratti di un idroscalo o di un lungofiume o lungolago. Se non ci sono neanche quelli si creano bacini artificiali.
Noi ticinesi siamo già fortunati perché se non c’è il mare abbiamo comunque molte acque e una cornice naturalistica che ha affascinato nei secoli artisti e viaggiatori. Però si desidera sempre quello che non si ha. E come in una sorta di miniaturizzazione si cerca di riprodurre situazioni marine, ambienti particolari come si fa negli zoo per gli animali esotici. A Lugano è bastato poco ed è mantenuta una certa sobrietà, sui sassi e le gradinate della terrazza, tavoli, sedie, sdraio da cui contemplare il piccolo fiume e il lago con le sue strette delimitazioni. Chiaro che il mare nell’ampiezza degli orizzonti è tutta un’altra cosa. Anche simbolicamente, ognuno può trovarvi il suo infinito e quando si arriva abbastanza al largo, con un semplice materassino, da sfuggire ad un litorale magari affollato che ormai sembra sempre più rimpicciolirsi, allora si può fingere di essere le ultime creature viventi sopravvissute ad un cataclisma, persino in agosto.
Il mare, nella sua ampia orizzontalità, come del resto la montagna nella sua verticalità, è una perfetta metafora dell’esistenza umana, per ogni suo aspetto, pacifico e terrificante, di morte e di vita, di partenze e arrivi, adesso sotto gli occhi di tutti a segnalare tragici destini, non solo trascorsi spensierati. I nostri laghi e fiumi, almeno oggi, hanno una dimensione più domestica, non per questo meno pericolosa (attenzione in ogni caso, anche i più esperti devono seguire regole elementari…). La riva opposta può essere un limite e una protezione, ha confini precisi. Ma il nuotare in acqua dolce è persino più faticoso. La fantasia umana non ha limiti e prendiamo esempio anche dai bambini, una barchetta di carta e via, sulla scia di bastimenti avventurosi. Allora ha senso anche cercare una convivialità casalinga sulle rive di un piccolo fiume che arriva al lago e che, come succede alle acque più selvatiche, riproduce serenità o turbolenze del cielo, trabocca quasi in certi momenti e in altri sembra sparire e lasciare vedere il fondale, calmo o agitato, non sarà il mare, ma una promessa di itinerari futuri, di viaggi possibili e impossibili, di fughe e ritorni. Buone vacanze ovunque decidiate di muovervi o restare.
Manuela Camponovo