Volo un po’ in ritardo ma alla fine eccomi a Mosca, un po’ di fila per i passaporti, molti gli italiani, burocrazia piuttosto veloce con il foglio d’immigrazione automatizzato. E con il mio bagaglio a mano che non ha avuto problemi. Il traffico è piuttosto intenso, anche di sabato. Il primo impatto è d’ordine climatico, forse qualcuno che boccheggia per il caldo m’invidierà, una ventina di gradi che non sembrano preoccupare i moscoviti seduti sulle panchine del boulevard che attraversa la città.
Dopo più di un‘ora riesco a raggiungere l’albergo, che mi accoglie nel suo splendore storico, una delle sette sorelle staliniane. Mentre le camere, rinnovate, hanno uno standard di lusso ai miei occhi senza anima e piuttosto deprimente. L’unico motivo per sceglierlo è che si trova proprio di fronte alla stazione da cui partirò per la Transiberiana, Yaroslavsky…
Un’ora in avanti, ma avrò tempo almeno per vedere alcune decorazioni interessanti del metro, di cui oggi si può ammirare l’estetica, ma che un tempo volevano essere celebrazioni quasi mistiche della Grande Russia, dei suoi uomini di cultura o di guerra, delle sue vittorie, dalla storia per un avvenire salvifico. Poi si sa come è andata a finire. E per raggiungere una delle sue vie più famose, l’Arbat, che però con la sua chincaglieria dozzinale, i commerci internazionali, sedicenti artisti o imbonitori da strada, è uguale a tante altre e non è più in grado di dare anima alla città. Meglio rivolgersi altrove. La sera, cena al Caffè Pushkin, che merita una visita, oltre che per il cibo, per l’ambientazione, gli interni ottocenteschi raffinati, e la cura dei particolari, uno stuolo di camerieri in divisa. Svariate le specialità. Non mancate di recarvi ai bagni, un’esperienza da museo vivente, nel sotterraneo di pietra viva, con i lavandini decorati a motivi floreali, la rubinetteria d’antan, come l’ascensore…
4. Continua