11/12 luglio – Il lago sembrava non finisse più. Poi il fiume Selenga, fino a raggiungere Ulan-Ude. Per me una grande emozione, perché qui termina la parte già fatta e inizia il nuovo mondo. E ancora di più quando vedo fermo in stazione, per una vibrante coincidenza e un simbolico passaggio di testimone, proprio lo Zarengold, il treno della mia Transmongolica, quella del 2015. I turisti saranno andati in escursione a visitare la città, mentre i vagoni deserti aspettavano di proseguire per Mosca o, all’andata, per la Mongolia e Pechino. La classica via transiberiana s’inoltra invece nel selvaggio e profondo est russo, diretta alla meta di Vladivostok. E se il sole mi aveva accompagnato, adesso piove, avrei voluto scendere, ma c’è anche vento, mi sarei inzuppata sul marciapiede scoperto. Rinuncio, del resto qui sono già stata e non è che ne fossi rimasta entusiasta, anche se la Buriazia fu una singolare scoperta, una regione al confine mongolo di cui rivela anche la transizione etnica.
Le misure del chilometraggio ci accompagnano, 5640… Ed ecco aprirsi effettivamente territori, paesaggi del tutto differenti, un universo più rurale, un cuore antico della lontana e immensa Russia, praterie, vallate, punteggiate da cespugli e, dietro, boschi di conifere e, ancora più in là, sullo sfondo, dossi collinari, quando non montagne. Orti e animali, finalmente, cavalli, mucche, pecore, anche se in piccoli gruppi, a dichiarare lavori contadini. E tanti villaggetti raccolti in casette di legno, curate o trasandate, modeste abitazioni che aprono all’immaginazione di una vita molto diversa dalla nostra.
Ancora un’ora avanti, siamo a sei rispetto a Mosca. Si scorge la stazione di Petrovsky-Zavod, sulle pareti dell’edificio spicca un murales dedicato ai Decabristi qui esiliati, i rivoluzionari dell’Ottocento che si erano ribellati all’assolutismo zarista. Ma il Rossiya si ferma solo un paio di minuti. Ha recuperato un po’, il ritardo dovrebbe essere di circa un’ora e mezza. E devo riaggiornare continuamente i calcoli, perché in corridoio è appesa una tabella con l’elenco delle fermate, l’orario di arrivo, i minuti di sosta e la ripartenza. Strisce rosse dividono in fasce il percorso, rivelando i vari fusi orari. La consulto spesso, ma il ritardo porta ad un certo sfasamento.
Ci inoltriamo nella vallata dei Khilok, con i monti Yablonovy, poco oltre il treno inizia a salire, si raggiungerà il punto più alto intorno ai 1000 metri, ma prima c’è la breve fermata a Khilok, appunto, dove arriviamo al tramonto. Posso sgranchirmi le gambe, non male la stazioncina, con l’officina per la riparazione delle locomotive e l’edificio dalle ambizioni art déco. Come detto si sale fino a Chita dove ci si ferma nel cuore della notte. La guida di carta dice di restare svegli perché questa sarebbe la tratta più panoramica, ma svegli o no, non si vedrebbe nulla, visto che è notte…
Altro giorno, il quinto, apro gli occhi giusto per assistere ad una splendida aurora dietro i monti ad illuminare la vallata di una incredibile ricchezza di verdi. Ci deve essere già stata la sosta a Karymskaya, poco dopo, da Tarskaya parte la Transmanciuriana. Scorrono fiumi, paralleli alla ferrovia, sono centinaia in queste zone, Ingoda e Onon si uniscono e diventano lo Shilka. Ma al di là dei dettagli geografici mi godo il panorama dal finestrino, in pigiama, accovacciata sul letto, sfido chiunque a considerare questo viaggio noioso. Cespugli, fiume, prati, colline e, sopra, alberi di sentinella come tanti soldatini.. Alcune casette sostituiscono il bruno legno con vivaci, squillanti colori e finestre decorate con allegria civettuola.
Kuenga. Qui un tempo i passeggeri transiberiani dovevano scendere e imbarcassi per andare a Khabarovsk, prima del completamento della linea nel 1916. A Chernyshevsk-Zabaikalsky ci fermiamo e possiamo passeggiare. La stazione è intitolata allo scrittore (1828-1889) che qui fu esiliato dagli zar e di cui campeggia una statua di fronte all’edificio. Chilometro 6587.
5. Continua