17/19 luglio – Lasciata Vladivostok sono partita, alle 14, in nave battente bandiera panamense dall’aspetto vetusto, personale coreano, cielo plumbeo, ventoso in mezzo all’Oceano Pacifico, ma navigazione tranquilla, cabina confortevole ma c’è anche chi dorme sui fouton, cioè materassi trapuntati stesi per terra, in stanze condivise. La costa si allontana e per la nebbia non vedrò passare neppure la Corea del Nord. Con proclami stentorei all’altoparlante chiamano per la cena, provo quella a buffet con ticket unico, intanto mi diverto ad interpretare le monete locali, gli yen giapponesi e gli won coreani (in cui compare spesso Lee Hwang 1501-1570, personaggio di pensatore neo-confuciano, che ebbe anche importanti incarichi governativi tra cui quello di “Ispettore segreto reale”); le monete nipponiche, noto, portano sempre la figura di un fiore. L’immancabile riso e intrugli piccanti. Contemplo il mare fino a quando arriva il buio, navigazione sempre tranquilla. Si riporta l’orologio un’ora indietro, rispetto a Vladivostok.
Il giorno dopo, l’unico piatto commestibile alle otto di mattina per me sono le uova fritte con il te, sempre meglio del maiale in agrodolce. Una televisione è accesa e vedo per qualche secondo l’immagine di Camilleri, intuisco che è morto e ne dà notizia persino la tv coreana.
Verso le 11, al porto di Donghae, si scende tutti per estenuanti controlli doganali, compresa la foto e le impronte digitali. La nave si svuota a poco a poco, i passeggeri sono divisi per gruppi, lunga l’attesa, ma finalmente sono fuori e ho alcune ore per visitare la città, sarà che questa è periferia, città portuale, commerciale e di servizio, ma l’impatto non è gradevole, lungo nastro d’asfalto, quattro chilometri in taxi per raggiungere l’abitato, sfilze di piccoli negozietti, tra cui svetta qualche palazzone. Ma almeno fa caldo, 27 gradi, e il sole appare tra le intermittenze nuvolose. L’attrazione del luogo sono le grotte Cheongok, naturali, scoperte nel 1991 mentre si stava costruendo un complesso abitativo, rivelate al pubblico nel 1996. Un percorso sotterraneo lungo 1,510 m, la maggior parte snodata in orizzontale, con volte molto basse (per questo forniscono un caschetto), spettacolarizzato con proiezioni e stridii registrati di pipistrelli, ma curiose sono le formazioni di stalattiti, variamente interpretate e stimate risalenti a 400-500 milioni di anni fa. Stalattiti e stalagmiti, caverne, cunicoli stretti, erosione dell’acqua, una grotta meno scontata di tante altre. Ho cercato anche di raggiungere la spiaggia, sotto la ferrovia, ma devo ammettere che ce ne saranno di migliori, questa era piuttosto desolata, poco pulita e curata. Un paio di famiglie sotto delle tende canadesi. A far che non si sa, certo non il bagno, in acqua non c’era nessuno, ma se fossi stata attrezzata il bagno io l’avrei fatto o forse mi dovrei domandare perché il mare in questo tratto era deserto? Qui, comunque, nessuno parla inglese, inutile chiedere. Si torna, soliti controlli e di nuovo in nave. Dopo aver assistito alla partenza, cena a base di gamberi poco saporiti e poi ad ammirare il tramonto fino a quando cala di nuovo il buio. Gelida cabina. Dovrò fare i conti con i fanatici dell’aria condizionata. È una lotta continua…
La mattina seguente mi sveglio al solito molto presto, al primo chiarore per spiare le prime tracce della costa giapponese. E ci siamo! Tra le nebbie spunta la visione di questa striscia lunga lunga con il suo verde esotico, folto, tra cui spuntano villaggi in lontananza, rilievi e rocce rossastre verso il mare, ma anche fari e ponti… Non sembra finire mai tra la nebbia di un cielo perennemente nuvoloso. Me lo aspettavo, qui è la stagione delle piogge, ma almeno non quella dei tifoni… Per un paio d’ore guardo la costa, siamo diretti alla punta del porto di Sakaiminato. Vedo una delle montagne, il Daisen… Ormai i bagagli sono fatti, ci chiamano e usciamo per i controlli doganali. Dico addio alla nave e mi preparo per l’avventura giapponese…