La nostra Manuela lo aveva annunciato nell’ultima puntata della sua rubrica che avrebbe viaggiato niente meno che sull’Orient Express. Ed ora eccola raccontarci in pillole narrative ciò che vede, le accade, la meraviglia di questo viaggio che in sei giorni e cinque notti la porta dalla Gare de l’Est di Parigi fino a Istanbul.
La Gare de l’Est
È sempre un’emozione varcare la soglia della Gare de l’Est di Parigi (nella foto di apertura), inaugurata nel 1850. Da qui, non solo è stato effettuato il primo viaggio dell’Orient Express, ma sono partiti i soldati per il fronte della Prima Guerra Mondiale. Partirono poi in migliaia per i lavori forzati, le torture e le camere a gas, durante l’occupazione nazista e il governo di Vichy. Tra il 1942 e il 1944, 11.000 furono i bambini ebrei tra i 70.000 deportati. 2.500 i sopravvissuti. Targhe e monumenti ci ricordano tutto questo, come il vicino giardinetto dove ai cani e agli ebrei, in quei tempi bui, era vietato l’accesso. Adesso è affollato da genitori e piccoli sorridenti, ma il quartiere di questa stazione è molto popolato, trafficato e rumoroso, classe media e operaia, formata da molti lavoratori stranieri, soprattutto spagnoli e portoghesi ma anche turchi. Nella piazza c’e’ il ristorante ‘Bosforo’, mi sento già in viaggio…
L’appuntamento per il check-in è verso le 14…
Saliamo in carrozza
L’appuntamento è al binario 5, dopo le formalità burocratiche e il rinfresco a base di bevande e pasticcini, ci rechiamo al treno con tutto il personale schierato, hostess, steward in divisa, cuochi come per un present arm. Invece delle fucilate passa una raffica di scatti fotografici.
Saliamo nello scompartimento assegnato dove ci aspettano champagne e stuzzichini. Arriva lo steward personale, un incrocio tra governante, maggiordomo e accompagnatore turistico, che illustra il funzionamento della nostra piccola ma lussuosa abitazione viaggiante. Luci, aria condizionata, campanello per chiamarlo… Siamo partiti…
Turisti all’ingrasso
Ho l’impressione, ed è solo l’inizio, che qui siamo ‘turisti all’ingrasso’, è vergognoso lamentarsi del troppo cibo in questo mondo, lo so, ma io sono un’osservatrice dopo tutto e penso che certi americani e giapponesi che girano per i vagoni, non ne avrebbero bisogno. Le cabine sono piuttosto piccole, mi domando come facciano a starci. Comunque per la cronaca, l’altra sera (venerdì 24 agosto), oltre a tutti gli intermezzi gastronomici del pomeriggio, con molto sfoggio di abiti da sera, la cena era all’altezza delle promesse, tra langoustines, carrè d’agnello alla mostarda… ho rinunciato al dessert per troppa zavorra ma la fonduta d’indivia mi ha reso appetibile persino un’insalata che ho sempre ritenuto insipida.
Lo chef stellato Christian Bodiguel è passato tra i tavoli a prendersi i meritati complimenti. Di notte, quando il treno si è fermato a Strasburgo, mi sono svegliata. Abbiamo passato la frontiera tedesca e poi quella austriaca. Dei passaporti si occupa lo steward, sempre meno inquietante che sapere, come sul treno della Transiberiana, che qualcuno entra nel vostro scompartimento mentre dormite. Per la colazione si suona un campanello e anche in questo caso non si va al risparmio, ma è rilassante sorseggiare un the e godersi il panorama ancora in vestaglia. Più tardi mi hanno offerto un caffè, ho scongiurato di non portarmi nulla da mangiare… come non detto… Dopo pranzo arriveremo a Budapest, pare che piova, peccato per la crociera sul Danubio. Vedremo. Qualche dato: 43 e il numero dei membri del personale viaggiante, una novantina sono invece i passeggeri.
Crociera sul Danubio
Questo viaggio supera ogni immaginazione. Per farci scendere a Budapest lo steward ha srotolato un tappeto rosso e ad attenderci c’era la banda ungherese in gran spolvero. Ma l’occasione è speciale. Infatti questo Orient Express festeggia il ventennale dell’itinerario Parigi-Istanbul e stasera, un classico: la crociera sul Danubio. Promettevano o minacciavano pioggia, in realtà il tempo ha tenuto e la temperatura è ideale… siamo alloggiati all’Hilton, proprio sulla rocca, con vista splendida del Danubio e delle due sponde. Ma detesto gli enormi alberghi privi di atmosfera, senz’anima, e dove occorre fare una labirintica camminata prima di raggiungere la propria camera. Nei piani inferiori ci sono resti di un antico convento: almeno il buon gusto di mostrare la propria cattiva coscienza! La piazza è ormai invasa da code di gente dietro ad una guida e da chincaglieria turistica. C’è un matrimonio che mi priva della visita dell’attigua chiesa di Mattia Corvino dalla controversa facciata ma dallo splendido interno con le sue vetrate istoriate.
Si va in nave, mentre si cena con un cocktail di minuscoli bicchierini o tazzine, la spiegazione è in ungherese, rinuncio a capire e mi lascio sorprendere e si va sotto i ponti che nella luce del tramonto spiccano come sagome fantasmatiche. Scendiamo a Pest, prima di rientrare. Domani la visita sarà più approfondita…
Domenica a Budapest
Oggi, domenica, credo, qui si perde la nozione del tempo, la guida locale ci ha scorazzato a piedi e poi in pullmino per Budapest, illustrandoci anche le problematiche del paese, riflesse del resto dai suoi criticati monumenti. Il Trianon ad esempio che rappresenta l’aggressione e il giogo nazista che però deve fare i conti con il collaborazionismo di parte del popolo ungherese. E poi il periodo sovietico, i russi liberatori, un regalo avvelenato e pagato a caro prezzo. E ancora la dittatura-gulasch: voi andate alle parate, festeggiate il primo maggio con la vostra famiglia e il governo vi darà la carne per il vostro piatto nazionale… Così qui il comunismo finì senza spargimenti di sangue. E oggi c’è il deciso recupero dell’orgoglio magiaro.
Quello che più colpisce è la ripulitura degli edifici e l’eclettismo tipico, art nouveau, neoclassico accanto al neogotico, falsi storici e ampollosità pretenziosa accanto ai rigidi schematismi di regime. Ovunque si leggono i transiti della storia ma anche il tentativo di aprirsi al turismo. Arrivano i giapponesi con l’abito nuziale: non si sposano veramente, l’hanno già fatto dalle loro parti, ma vogliono farsi fotografare! Spettacolare è il Parlamento che visitiamo, il terzo per grandezza, dopo il Pentagono, il secondo è quello di Ceaușescu. Chili di oro, vetrate floreali, sculture e i gioielli della corona guardati a vista da severissimi e immobili soldati. Il pranzo lo abbiamo fatto in un ristorante locale e tra i piatti le famose, caloriche, crepes, con cioccolato e ripieno di nocciole. Adesso siamo appena partiti, lasciamo Budapest in direzione della Romania…
Mi ero dimenticata di dirvi che domenica a Budapest faceva piuttosto freddo, rispetto a sabato, ma da quelle parti tutti erano contenti, dopo un periodo di forte canicola, tutti tranne i turisti in tenuta estiva. Comunque, domenica sera abbiamo ripreso il treno diretti a Bucharest (Bucuresti), sempre dalla stazione dell’Est, con la reale sala d’attesa, degna dell’Orient Express. Il treno ha ripreso la sua corsa e il confine con la Romania lo attraversiamo alle 22.30 circa con una lunga sosta doganale. E a questo punto portiamo avanti le lancette dell’orologio di un’ora. Non è la Transiberiana e questo è anche il fuso orario della nostra destinazione. Il lunedì mattina c’è tempo per contemplare la campagna rumena immersa ancora in una dimensione arcaica, boschi, villaggi, casupole dai tetti spioventi, carretti trainati da cavalli, pecore al pascolo con i cani (lupi e orsi qui sono numerosi, e noi che stiamo a disquisire per mesi se ne viene avvistato uno!). Le colline in lontananza che, mentre si sale, diventeranno i Monti Bucegi. Ogni tanto qualche edificio in rovina che ci ricorda guerre e terremoti, terra di tenebrose leggende e dal fascino ancora misterioso.
Destra o sinistra? Quando si è in treno e il paesaggio fugge con noi, questo può essere il solo dilemma: quale sarà il panorama migliore, se non si vuole fare lo spettatore di una partita di tennis, quello del finestrino della propria cabina o quello del corridoio che è anche più grande? A volte basta uno sguardo per scoprirlo.
Piccolo incidente
E poi, improvviso, l’arresto, locomotiva rotta, non succede mai su questa linea, ma chi mi legge sa che invece a me capita di rado un viaggio senza intoppi. Ma qui si sta bene, il cibo non manca e possiamo sopportare il ritardo. I rumeni sono rapidi e precisi (meglio degli italiani, ci dicono, perché invece verso il Brennero problemi simili sono frequenti.. Alla faccia dei pregiudizi…). Si riparte con due ore di ritardo, ma è l’Orient Express e si gestisce come vuole, anzi, gli rifanno persino la pianificazione ferroviaria.
Torno in cabina, dopo il solito raffinato e lauto pranzo. Lo steward è bravissimo, sempre disponibile, ma il suo concetto di ordine non coincide con il mio, così dopo il riassetto dei miei spazi mi devo dedicare ad una specie di caccia al tesoro, fino a quando sfinita chiedo a lui dove ha messo la mappa e il programma della giornata. E dove vuoi che l’abbia messa? In un contenitore a busta di documenti appeso dietro gli abiti… ah, saperlo…
Sinaia
Il paesaggio è mutato, alla campagna sono subentrati i boschi di conifere. Saliamo a circa 800 metri ed eccoci a Sinaia, un tempo sperduto villaggio, oggi attrezzato centro turistico per escursionisti. Oppure per i visitatori del Castello di Peles che, in barba al mito transilvano di Dracula, è il più interessante della Romania. Oltretutto c’è un rapporto diretto con l’Orient Express perchè la sua inaugurazione nel 1883 coincise proprio con il primo viaggio del treno. Per cui re Carlo I, che volle realizzare questa opulente residenza estiva, invitò i prestigiosi viaggiatori, i VIP dell’epoca. Si spiega quindi perchè questa visita sia inserita nel programma Parigi-Istanbul.
Sotto un temporale arriviamo, anche qui accolti dalla banda, e in bus saliamo per ammirare il troppo di tutto, dalla grandiosa facciata, alle scalinate, dalla collezione di armi alla biblioteca e il susseguirsi di sale, l’orientale, la fiorentina, la veneziana, quella per la musica e quella per il pranzo, senza farsi mancare un piccolo teatro con un fregio firmato Klimt. Si respira e si legge ovunque la passione di Carlo per l’arte italiana, Rinascimento nei mobili, negli intarsi di legno o di pietre dure, per Venezia nei sontuosi cristalli, specchi, lampadari poi le influenze turche, ottomane in altri arredi moreschi, stoffe o incisioni in metallo, lampade in ottone… e l’eclettismo delle vetrate art nouveau. C’è anche un po’ di Svizzera in certi paesaggi. Torna la Svizzera con la storia dell’ultimo re, Michele che da noi ha trovato il rifugio del suo esilio. Morto l’anno scorso, la figlia Margherita ha preso in eredità il castello anche se a gestirlo è lo Stato rumeno. Un po’ tutto di corsa perché siamo in ritardo e ci aspetta Bucharest.
Di nuovo in treno.
Altro intoppo
In realtà, quando le cose iniziano ad andare male, possono continuare ad andare male… Il treno era sempre fermo a Sinaia. Il fatto è che si era rotto il bus di un gruppo e un altro mezzo ha dovuto andare a prenderli al Castello. Ritardi su ritardi e ci siamo bruciati la visita di Bucharest, dalla stazione triste e spoglia di Baneasa, pure corredata di musicisti, questa volta gitani, subito all’albergo e che albergo, perche c’è Hilton e Hilton, l’Athenee Palace è un trionfo dell’art nouveau, con un magnifico rosone di vetro sul soffitto della sala Le Diplomate dove abbiamo cenato in canto e musica. L’edificio, realizzato nel 1914, opera dell’architetto francese Teophile Bradeau, è stato il cuore politico e culturale della città, conteso dalle spie britanniche, quanto dalla Gestapo, uno straordinario simbolo di quella che fu definita la ‘Parigi dell’Est’ e che oggi tenta faticosamente di riprendersi. Bello e nobile lo sforzo di rinnovarsi, ma lo spettacolo del posteggio selvaggio non depone a suo favore… Non c’è tanto tempo per la storia ma il 2018 è una data importante per la Romania che festeggia i cento anni di unificazione.
Toccata e fuga e oggi, martedi’ ci aspetta la Bulgaria. Felice di lasciare l’afosa Bucharest. E adesso di nuovo in treno verso Varna, la capitale e il Mar Nero…
In Bulgaria
Dal finestrino distese gialle di girasoli, campagna piatta, fino a quando ricomincia il verde di boschetti e un’ampia insenatura portuale, è il Danubio che lasciamo al confine con la Bulgaria. Ci fermiamo a lungo, mentre pranziamo, nella stazione di Giorgiu. Una folla si assiepa sul marciapiede per salutarci, fotografarci, persino filmarci, indicandoci ai pargoli. Ci sentiamo come animali allo zoo, ma quando questo treno si ferma a Lugano succede un po’ lo stesso, con meno entusiasmo forse perché qui lo vedono solo una volta all’anno se fortunati. La stazione è imbandierata: sarà anche questo per noi? Inizio a diventare megalomane. Ma in ogni momento su questo treno ti fanno sentire speciale. Lo chef passa sempre tra i tavoli a fine pasto: per assicurarsi di non avere avvelenato nessuno?
Qualche indicazione per gli amanti del caviale che, a parte qualche degustazione si paga in più: il Beluga “Tsar Imperial”, 50 gr., 580 euro; una trilogia “Baeri Royal”, “Oscietre Royal” e “Daurenki Royal”, 90 gr., 390 euro; e l'”Averta Roya” da 12 gr. 30 euro. Per fortuna che non ne vado matta, così sono lontana da queste tentazioni.
Lo steward è veramente un tuttofare: si occupa di chiavi, bagagli e passaporti, lava, stira e cuce, nel suo bugigattolo, il tutto sempre con la sua impeccabile divisa azzurra. Il wi-fi ha sempre funzionato perfettamente, come vedete, sul treno, qualche difficoltà semmai l’ho avuta a ‘terra’.
Scenderemo a Varna verso le 17.
Varna
II Mar Nero, un mare senza vita perché da una certa profondità non c’è ossigeno o perché per i Greci il colore del Nord era il nero… chissà… Scendiamo a Varna, la capitale marittima della Bulgaria, qui arrivava il primo Orient Express e poi ci si doveva imbarcare per raggiungere Istanbul, dopo è stata conclusa la linea ferroviaria, ma il treno resta legato a Varna… Ci aspettano in costumi tradizionali per offrirci pane e sale, segno di ospitalità, come mi era già capitato sulla Transiberiana.
Prima tappa il Museo Archeologico che ha conquistato prestigio dopo la scoperta, nel 1972, di una necropoli e dei più antichi manufatti in oro salenti a più di 3000 anni prima di Cristo, la cui quantità supera in peso e in numero tutto l’oro preistorico rintracciato nel mondo.
Poi, a qualche chilometro di distanza, visitiamo Euxinovgrad estate, la reale residenza estiva il cui interno, a livello di arredamento, non è un granché, immagino abbia subito spogliazioni durante il periodo comunista, però ha un bel giardino dove c’intrattengono con il classico coro a cappella di voci bulgare femminili. Tornando in città, sentiremo una versione maschile di cori ortodossi nell’ottocentesca Cattedrale dell’Assunzione che possiede una interessante iconostasi e belle vetrate, ma ormai il sole è tramontato ed è troppo buio per apprezzarle. Tutti questi luoghi sono stati aperti appositamente per i viaggiatori dell’Orient Express vista l’ora serale. La guida ci parla della Bulgaria e la storia è la stessa della Romania: i comunisti si sono riciclati e la corruzione dilaga, le proteste aumentano. Paesi difficili, dalla vita complicata. Si torna al treno verso le 21, seguirà la cena, l’ultima e dopo dobbiamo già preparare la valigia… Ci aspetta anche l’ultima notte a bordo.
Kapikule: un timbro e via
Mercoledì, ultimo giorno, al mattino il treno si arresta alla frontiera di Kapikule. Finora non ce ne dovevamo preoccupare, ad ogni dogana bastava consegnare il passaporto allo steward, ma i turchi ci vogliono vedere in faccia uno per uno. Ci chiamano vagone per vagone e in fila andiamo. Pensavo di trovarmi davanti un ringhioso ufficiale, invece è un sorridente ragazzo che mi guarda e confronta la foto. Non si deve compilare o firmare nulla, perché non è necessario un visto per entrare in questo paese che aspira all’Europa… un timbro e via… Intanto scaricano i bagagli che, sotto la supervisione del personale di bordo, ci precederanno via auto ad Istanbul. Si va per le lunghe, restiamo fermi dalle 8 di mattina fin verso le 10. Ma con una danza folcloristica sul marciapiede ci sentiamo già in pieno Oriente…
Fine del viaggio
Attraversiamo il territorio dell’antica Tracia. Solo viaggiando in treno si possono capire distanze e cambiamenti storico-geografici. Ci hanno promesso un pranzo ‘ottomano’. Se devo sottolineare una pecca è che attraverso il cibo squisito, si è però percepita poca degustazione di cibo locale, si è trattata per lo più di alta e raffinata cucina francese, a cui certo non è mancato il caviale, ma nessun piatto tipico, trovato semmai in qualche ristorante durante le visite. Forse perché i piatti tipici di solito fanno parte di una cucina povera non contemplata dall’Orient Express con i suoi viaggiatori internazionali. In effetti in quest’ultimo pranzo c’è stato un festival di assaggi turchi, dalla foglia di vite farcita, al filetto d’agnello marinato, alla baklava perché diverse sono le influenze e contaminazioni. E per trasportarci nell’atmosfera, tutto il personale dei ristoranti si è adeguato, indossando gilet e cappelli folkloristici.
Stiamo per arrivare e ho già un po’ di nostalgia. Con alcuni compagni di viaggio ci si scambia i contatti. Molti, come detto, gli americani, ma c’è anche un gruppetto di svizzeri francofoni, due sorelle con i rispettivi mariti, una coppia fa il viaggio per la seconda volta, l’ha voluto far vedere all’altra. C’è chi si ferma pochi giorni ad Istanbul, chi prosegue per altre destinazioni, solo due faranno anche il viaggio del ritorno Istanbul-Parigi con partenza il primo settembre. Arriveremo in una stazione fuori città, Ispartakule, poiché a causa di lavori per un allagamento, a cui lo stesso Orient Express è sfuggito per un pelo alcuni anni or sono, la Sirkeci è chiusa al traffico internazionale ma è previsto il trasferimento degli ospiti ai propri alberghi. Bisogna dire che l’organizzazione è sempre efficiente. Scendiamo a turno e ci aspettano con i cartelli.
Cosa dire? Anche solo sei giorni e si è una famiglia. Salutando il treno transiberiano dissi “da svidanya”, qui o uso il turco “hoscakal” oppure dico arrivederci nelle numerose lingue del treno, inglese, tedesco, francese, spagnolo, anche l’italiano, ben rappresentato (molti del personale sono veneti, la Belmond ha anche una sede a Mestre).
In auto il viaggio dura quasi due ore per entrare in città, ingorghi a non finire e il primo impatto non è piacevole tra grattacieli di lusso e la desolazione periferica ma questo sarà il tema di altre puntate. Intanto mi farà effetto non vedere più scorrere il paesaggio dal finestrino di un treno.
FINE