Non è stato facile per il Festival l’inverno 1970-71. Dopo le dimissioni dei direttori Sandro Bianconi e Freddy Buache (uno dei “padri” del Festival scomparso lo scorso maggio, celebre la fotografia al Kursaal con Jean-Luc Godard), erano in molti a nutrire dubbi sul futuro del Festival. La soluzione del giovane presidente avv. Luciano Giudici e del Comitato esecutivo costituito da esponenti del mondo del turismo, dell’economia, della cultura e dell’imprenditoria, è di nominare una Commissione di direzione allargata a 7 ticinesi: Luciana Caglio ed Eros Bellinelli, giornalisti; Giovanni Bonalumi e Bixio Candolfi, insegnanti; Giuseppe Cattori, avvocato; Giuseppe Curonici, critico d’arte; Fabio Fumagalli, esperto di cinema. Sono uniti dall’amore per il Festival, quindi dalla determinazione a non lasciarlo morire, e dalla decisione di riportarlo dal chiuso delle sale all’aperto in città. Sì, ma dove? Improponibile il ritorno al Grand Hotel Locarno, quattro anni dopo averlo lasciato. La strada più… istituzionale è di coinvolgere l’arch. Fernando Pozzi; già si occupa della Festa delle Camelie, che riscuote tanto successo e attrae turisti. Attorno all’idea di Festival come spettacolo, Pozzi propone due soluzioni in zona Lido: stadio di calcio e Parco della Pace. Le ubicazioni vengono ritenute troppo decentralizzate, meglio all’aperto ma dentro la città.
È già maggio quando ci si rivolge a due architetti che collaborano tra loro da anni e si stavano occupando della pianificazione del centro cittadino, Luigi Snozzi e Livio Vacchini. Snozzi lascia la patata bollente al più giovane Livio Vacchini (1933-2007), che non ha dubbi: l’ideale per il Festival è piazza Grande. In pochi giorni Vacchini prepara un dettagliato progetto basato su un grande schermo all’ingresso verso lago di quella che in effetti non era una piazza ma uno slargo. «Vorrei trasformare il centro di Locarno in una grande sala e fare in modo che ogni notte, dieci giorni l’anno, cinquemila spettatori trasformino la città in uno spazio di festa». Già il progetto è troppo nuovo per convincere tutti e subito, e poi quell’accenno ai cinquemila spettatori fa sorridere. Magari fosse vero… pensano tutti.
Pensaci tu e auguri…
Il primo merito di Vacchini è di riuscire a convincere quelli del Festival a non spaventarsi e dargli carta bianca. Pensaci tu e auguri… E lui progetta uno schermo grande come non se n’erano mai visti nemmeno nei Drive-in americani. Uno schermo diverso da tutti per poter essere montato e smontato in fretta, capace di resistere a venti anche di 120 km l’ora, quindi robusto ma anche leggero, quasi impalpabile. Prima però si tratta di capire alcune cose su come farlo stare in piedi e basta scendere di poche decine di centimetri per accorgersi che sotto la piazza è tutto un intreccio di cavi elettrici e telefonici, tubi dell’acqua e del gas, e basta scavare un metro e mezzo per trovare… il lago. In effetti quella piazza fino a qualche decennio prima era semplicemente la riva del lago, qualche negozio sotto i portici, le reti da pesca stese al sole, le barche ad arcioni e le massaie che lavavano i panni. Per essere sicuri che stia in piedi bisogna scendere sino a 9 metri sotto la crosta della piazza e per scavare i buchi non si può evitare il rumore. Per un po’ Vacchini riesce a nascondersi dietro la scusa di lavori per la città, ma presto la verità viene a galla. Il Festival in piazza? Ma siamo matti?
Di notte, quasi di nascosto
Naturalmente non c’è tempo per chiedere i permessi, si lavora soprattutto di notte per non intralciare la normale vita della piazza, i commercianti cominciano a rumoreggiare fino a chiedere un risarcimento di 60.000 franchi… Chi s’affaccia sulla piazza si lamenta dei rumori notturni, ogni tanto bisogna accendere o spegnere la luce e siccome l’impianto è centralizzato scompare la corrente anche nelle case… E arriverà il momento in cui bisogna provare l’audio… Il comandante della polizia è informato della cosa e non ne fa un dramma, il Comitato del Festival naturalmente dice di non saperne niente, al trisettimanale L’Eco di Locarno piovono lettere di protesta che Raimondo Rezzonico con scuse di vario genere riesce a non pubblicare, i giornali non se ne avvedono o comunque non ne parlano, solo Luciana Caglio pubblica sul settimanale Azione un’intervista all’arch. Vacchini di sostanziale appoggio al progetto. Però lamentele e proteste giungono alle orecchie del sindaco Carlo Speziali che prima sopporta poi prende di petto l’architetto: ma sei matto, i permessi li hai? Se te li chiedo, risponde Vacchini, non me li dai… Bisogna fare in fretta prima che succeda una mezza rivoluzione, intanto Vacchini ha il tempo di studiare i problemi e di provare a risolverli.
Una geniale invenzione
Rapidamente prende forma l’idea di uno schermo alto quasi come le case, che chiuda lo spazio di quel “budello” verso il lago. Niente anfiteatro, bensì la piazza, il centro della città su cui s’affaccia il Municipio utilizzata come un’immensa platea, che racchiude in sè le cadenze della storia e il ritmo del tempo. Adesso però bisogna confrontarsi con esigenze pratiche. Per ragioni di visibilità lo schermo viene alzato 4 metri dal suolo, ma come irrigidirlo in modo che il telone non sventoli al vento? Assicurato l’ancoraggio nel sottosuolo, ecco la soluzione: intrecciarlo come la paglia delle sedie, quelle che si fabbricavano ancora in Onserone. E la cabina dove piazzarla? Su palazzo Magoria, su uno degli edifici che s’affacciano? E se è così, come appenderla? Meglio posare in piazza una cabina smontabile come lo schermo, ma dove trovarla di queste dimensioni? Ecco l’idea: far combaciare a guscio di noce due piscine prefabbricate, proprio quelle da piazzare in giardino e realizzate dalla ditta Belform di Ascona. Costano poche migliaia di franchi e dureranno più di vent’anni. Insomma uno ad uno i problemi vengono risolti, e in fretta. Adesso bisogna provare con le proiezioni naturalmente sempre di notte e sotto il tiro delle lamentele.
Un’emozione incontenibile
«Trasformare piazza Grande in sala cinematografica è stato il lavoro più difficile della mia via. Oggi non lo rifarei per niente al mondo, ma anche allora ci voleva una buona dose di incoscienza». Però l’arch. Vacchini non ha mai dimenticato la fortissima emozione all’accendersi sullo schermo nella serata inaugurale la prima immagine di Prendi i soldi e scappa, il capolavoro di Woody Allen. In piazza ci sono alcune centinaia di persone, Vacchini è riuscito a convincere il Comitato ad acquistare mille sedie, una pazzia, invece dopo qualche proiezione si deve correre alla Magistrale a prenderne altre. E non sarà che l’inizio. «Quell’idea apparentemente folle ha salvato il Festival. Non fossimo stati tutti locarnesi, io e quelli del Comitato, quindi motivati dall’affetto per la città e la rassegna, il Festival sarebbe morto e sepolto», mi ha confidato l’arch. Vacchini durante uno dei nostri incontri per il libro sulla storia del Festival. Per la verità avrebbe voluto posare un secondo schermo, stessa altezza ma più piccolo, orientato dalla parte opposta, verso il lago, e sistemare biglietterie e stand nei giardini di largo Zorzi. Non esageriamo, gli rispondono. L’idea anch’essa futuristica verrà rispolverata e in parte realizzata più di vent’anni dopo, in occasione della cinquantesima edizione.
La magia di piazza Grande
Pare impossibile che in un paio di mesi possa venire progettata e realizzata un’opera come lo schermo di piazza Grande. Eppure per l’apertura della ventiquattresima edizione, 6-15 agosto 1971, tutto è pronto. Per giustamente solennizzare l’avvenimento e ridare al Festival un po’ di quel lustro che aveva avuto per più di vent’anni al Grand Hotel si pensa di esporre alle finestre degli edifici che danno sulla piazza le bandiere dei vari Paesi partecipanti. E’ lo stesso Vacchini ad andare di casa in casa con il mazzo di bandiere, ma alla fine rimane con quella dell’URSS, che nessuno vuole. Non rimane che piazzarla sul balcone del Municipio, ma succede una mezza rivoluzione. Che fare? Alla fine, ecco il compromesso, la si espone al balcone della Sopracenerina, ma debitamente affiancata da quella americana. E tutte le sere del Festival, da allora, si ripete un cerimoniale che non cessa di emozionare: le luci in piazza si spengono, parte la sigla musicale e si accende il grande schermo, si rinnova la magia del cinema. Lo schermo si rivela un “prodotto” dal valore incommensurabile per un costo minimo, poco più di 100.000 franchi, che però a quel tempo pareva esorbitante.
«Un’idea di comunità»
Risolti anche i problemi politici, piazza Grande diventa in fretta e rimane tuttora il luogo reale e simbolico del Festival, portando il cinema e la cultura nel cuore della città. Vacchini è consapevole di aver trovato la soluzione giusta: «Continuo a pensare che quello sia stato il maggior contributo che, nella mia vita professionale, abbia potuto dare a Locarno». Perché finalmente la piazza è diventata una piazza, perché finalmente vengono affrontati problemi che dal Festival ricadono positivamente sulla vita della città e già allora, 1971, Vacchini parlava di pedonalizzare la piazza all’interno di una visione che si allargasse a un moderno utilizzo degli spazi urbani. Ha fatto in tempo a vedere l’incontenibile successo della sua realizzazione, gli spettatori salire fino a 8-10.000 e ci fosse altro spazio in certe sere sarebbero anche di più. Ha visto piazza Grande portare in tutto il mondo una straordinaria immagine del Festival e di Locarno. E conosceva il segreto di tanto successo. «Lo spettacolo di piazza Grande non è soltanto quello che si proietta sullo schermo, ma consiste prioritariamente nel dare un luogo al bisogno dell’uomo di stare insieme. Quel progetto era ispirato dall’idea di comunità». È così da quasi cinquant’anni e chissà per quanti altri.
Dalmazio Ambrosioni
Giornalista e critico d’arte, autore del libro “Locarno, città del cinema”, Armando Dadò Editore, Locarno