«È stata una grande sfida, una bellissima avventura, è il mestiere che voglio fare da quando avevo 14 anni e finalmente ce l’ho fatta ora che ne ho quasi 40»: è una Ginevra Elkann chiaramente felice, anche se si esprime con misura, semplicità e modestia, la cineasta che presenta il suo primo film, Magari, con Riccardo Scamarcio e Alba Rohrwacher. Pellicola che ha aperto ieri sera, sotto la pioggia, il 72. Film Festival di Locarno.
La nipote di Gianni Agnelli ha raccontato una storia – con mano delicata e ispirata – di tre figli di genitori separati, Alma (la più piccola, quasi una voce narrante), Jean e Sebastiano che vivono a Parigi con la madre dalla fede russo-ortodossa, costretti a un periodo di vacanza per le feste natalizie teoricamente a Courmayeur, ma in realtà in una villetta a Sabaudia via Roma insieme al padre (Scamarcio), sceneggiatore scombinato con una nuova ennesima compagna (Rohrwacher). Ne emergono sofferenze profonde e incomprensioni, con la bambina che più di tutte desidera la ricostituzione della famiglia, ma al centro il tema è l’amore.
«Non è del tutto una storia autobiografica, ma non nego che anche io fin da piccola ho avuto il desiderio che ci si potesse riunire tutti insieme di nuovo. Non sono io Alma e Jean non è Lapo. Però l’inconscio può avere avuto un suo ruolo», sottolinea l’ex assistente alla regia di Bernardo Bertolucci e produttrice con la Good Films, che nella pellicola mette per brevi istanti anche i suoi figli e il fratello John come generici, mentre i tre attori giovani sono i pargoli di amici di famiglia. «Diversi riferimenti sono al mio passato – precisa rispetto al personaggio della moglie di Scamarcio che è ossessionata dalla fede e dai riti -, nella mia famiglia sono convissute diverse culture, lingue e religioni». Difficoltà in un’opera prima? «Beh all’inizio ce ne sono state tante, ma devo dire che si sono tutte risolte senza grandi problemi». I registi che le piacciono? «Francesca Archibugi, Comencini padre per esempio per Incompreso, Eric Rohmer e Mike Nichols. Rohmer lo consideravo noiosissimo quando ero piccola, poi quando sono diventata più grande l’ho capito e mi può avere ispirato».
«I miei genitori hanno visto il film ed è loro piaciuto, del resto non ho rivelato nulla, ho raccontato con naturalezza quello che ho anche vissuto, anche la sofferenza per la separazione di papà e mamma. Ma comunque i personaggi sono di finzione, anche se sono “veri”, e rappresentano un nucleo al cui centro c’è la ricerca di famiglia nel senso di un luogo d’amore», sottolinea. «Credo che il pregio maggiore del film sia l’indulgenza nel rendere i personaggi, è una famiglia sfasciata e io sono un padre incapace di fare il genitore e solo con il tempo riesco a capire i figli. Ma sono comunque narcisista ed egoista. L’obiettivo è raccontare una storia con la quale ci si può identificare», spiega Scamarcio, protagonista con Alba Rohrwacher in conferenza stampa di un simpatico e continuo duetto (ANSA).