Il concorso internazionale non è partito con il botto, ma ha presentato alcuni film di livello. A cominciare dal brasiliano A Febre della debuttante Maya Da-Rin. Un film che racconta un pezzo di vita di un nativo dell’Amazzonia che lavora come guardiano nel porto di Manaus. Un personaggio diviso tra il passato (le sue origini e il richiamo della sua terra che viene esplicitato attraverso la figura del fratello), e il futuro, rappresentato dalla figlia che ha ottenuto una borsa per studiare medicina nella lontana Brasilia. Un’opera dallo stile asciutto e rigoroso e con una spiccata dote formale. Sovente, infatti, lo schermo è diviso in due attraverso alcuni ostacoli narrativi: da un lato abbiamo il protagonista e d’altro lato il paesaggio circostante. Quasi a voler insistere sul suo posto all’interno di quel luogo. E non per nulla la questione identitaria è fondamentale anche a livello narrativo.
Un altro lavoro più che discreto è Douze Mille di Nadège Trebal (anche attrice). Un film dove l’amore si mescola con il lavoro e il sesso con la povertà. In questo caso il motore narrativo è quello della ricerca di 12mila euro; è il denaro necessario a una coppia per vivere in tranquillità per un anno. L’uomo per poterli guadagnare deve partire e lasciare la donna. Ed è questa dinamica, che percorre tutto il film, a creare la giusta tensione e incuriosire chi lo guarda. In altre parole si vuol sapere se l’uomo ce la fa e se poi torna con la donna.
Meno riuscito il Fi al-thawra. Una camera filma dal 2011 al 2017 gli eventi bellici in Siria. Ma più che la guerra, si concentra sulle discussioni e sui litigi di alcuni attivisti politici. Un punto di vista che se da un lato vuole evidenziare le difficoltà di un popolo di unirsi, d’altro lato crea noia e allontana lo spettatore dalla necessaria empatia per un popolo martoriato dal conflitto bellico.
Nicola Mazzi