«Io non tengo libertà, non mi ricordo neanche più da quando. Mi sa da quando tenevo 14 anni. Perché tra sorveglianza e carcere la libertà vera non l’ho mai avuta», racconta Francesco, cresciuto all’ombra del padre boss della malavita locale, quasi un enfant prodige per il suo curriculum di reati. «Nella strada non sei libero, mai. Anche se sei libero per la giustizia, non sei libero dentro te», dice. «A me piaceva incutere il terrore nelle persone e adesso se ci ripenso mi faccio schifo da solo», confessa invece Alessandro, che dopo un’esistenza in strutture per minori e carceri, oggi sogna di studiare per diventare astrofisico.
E poi ancora, Maria, cresciuta in una comunità Rom, costretta a sposarsi ancora bambina a 14 anni e poi a rubare; Omar, metà napoletano e metà tunisino, che l’obesità ha mortificato a lungo, mentre entrava e usciva dal carcere minorile; Kekko, corpo tatuato e un passato di violenze e privazioni; Matteo, che dopo cinque anni di carcere spera di far contenta sua madre, almeno ora che non c’è più. Sono i sei ragazzi protagonisti di Boez – Andiamo via, serie tv di forte impatto sociale, un po’ documentario un po’ reality, realizzata da Rai Fiction e Donatella Palermo per Stemal Entertainment con la collaborazione del Ministero della Giustizia italiano. In onda dal 2 al 13 settembre alle 20.20 su Rai3, la serie racconta, senza filtri né falsi paternalismi, il singolare esperimento di recupero di sei ragazzi, tutti condannati per aver infranto la legge e in regime di detenzione, interna ed esterna, ora letteralmente in cammino.
Scarponi ai piedi e zaino in spalle, accompagnato da Marco Saverio, guida ambientale escursionistica Aigae, e da Ilaria D’Apollonio, educatrice di comunità ad orientamento psico dinamico, il gruppo ha percorso in 50 tappe e 10 puntate oltre 900 km, lungo la Via Francigena dei pellegrini medioevali, da Roma a Santa Maria di Leuca in Puglia, come misura di pena e recupero alternativi sul modello di iniziative già praticate in altri paesi europei, abbattendo fortemente la percentuale di recidive. «Chi è nato in montagna come me – racconta Roberta Cortella, autrice di Boez insieme a Paola Pannicelli e regista con Marco Leopardi – cresce con i sentieri che scorrono sotto i piedi e guardando alla cima come a un’impresa dura e faticosa». Il progetto Boez, che prende il nome dalla firma di un writer «nel nome del quale raccontiamo una storia di speranza e rinascita», è nato con l’obbiettivo di «portare in Italia il metodo del cammini come strumento di rieducazione e reinserimento sociale di giovani con trascorsi criminali. Una misura già praticata in Belgio e Francia da quasi quarant’anni».
La serie racconta così la «realizzazione di un sogno: quello di sperimentare il metodo in Italia, ma anche il sogno di sei giovani che per due mesi hanno lasciato il loro contesto sociale per ripartire verso una nuova consapevolezza di sé e del mondo». Il cammino diventa infatti un percorso di conoscenza, un gesto quasi rivoluzionario in un quotidiano comune sempre più sedentario, ancora più per chi è vissuto ristretto nei limiti di un contesto marginale e deprivato. Un viaggio pieno di meraviglie, dagli incontri alla sorpresa di dormire sotto le stelle, con la libertà che fa quasi paura. Ma anche di ostacoli, brusche frenate: il caldo asfissiante, lo zaino che pesa tantissimo, momenti di sconforto personale, dinamiche interpersonali (e sentimentali) tutte da imparare. Ma il seme del cambiamento è piantato. E chissà che una volta arrivati al mare, cominci a germogliare. (ANSA)