Cinema

Locarno Istinct

“Per me, è la migliore attrice del mondo”: parole destinate a Carice van Houten e pronunciate dalla sua migliore amica (nella vita reale) Halina Reijn, già nota internazionalmente come attrice cinematografica e teatrale, ma che qui al festival per il suo primo lungometraggio snobba l’occhio della cinepresa per posizionarvicisi dietro.

Instinct è stato accolto perlopiù al Fevi, vista la copiosa pioggia caduta ieri ininterrottamente a Locarno, ma l’attrice di The Game Of Thrones, protetta dal capannone, ha rivolto grandi sorrisi anche ai temerari che, sotto le mantelline colorate, l’hanno guardata nel thriller olandese a tematica senso-sessuale.

Raccontare l’impossibile relazione passionale tra un criminale rinchiuso in un istituto di pena e Nicoline, la seducente psicologa incaricata di curarlo: non ha azionato nessun freno inibitore Halina Reijn, che inserisce nella sceneggiatura scene altamente disturbanti ma mai gratuitamente violente, come quando silenzioso sulla spiaggia Idris (Marwan Kenzari, che è poi l’Aladdin di Guy Ritchie), lo stupratore, dopo aver urinato, fa un gesto insieme sensuale e brutale, definitivo, che disorienta persino noi che di lui non subiamo alcun fascino. Perché è uno stupratore e lo apprendiamo a inizio film, è un uomo in cura da cinque anni, sì, e in procinto di uscire dal carcere, ma (finora) non lo scusiamo, non ci sogniamo di farlo: è pur sempre un manipolare abilissimo con plurime aggressioni sessuali commesse alle spalle. A tratti un po’ stereotipato – da limare un po’ il coté introverso-imperturbabile – il personaggio della van Houten procede altero, duro, altamente efficiente… finché non si invaghisce di Idris.

In apparenza convinta di gestire la cotta (a colpi di giochi di potere), Nicoline si illude anche di amministrare serenamente la combinazione donna bella e in carriera, ma ben presto, miseramente, la fragilità dei bastioni della sua mente la faranno precipitare in zone assai grigie. Sarà l’alto tasso di testosterone messo in campo dal nordafricano a far sgretolare la sua deontologia professionale? Crediamo siano piuttosto i trascorsi della psicologa a rivendicare medicazioni, i fantasmi di una madre incestuosa e chissà quali traumi spinti giù nel profondissimo lago dell’inconscio, che tutto obnubila ma tutto restituisce infine.

La regista dei Paesi Bassi punta lo sguardo anche sulla ricerca generalizzata di sesso facile, pronto al consumo e affatto coinvolgente della protagonista, un modo come un altro per “gestire la situazione”. Decori scarni e una dinamica visiva che gioca in continuazione su avvicinamento e allontanamento dai luoghi di prossimità ospedaliera: questa regia, che sceglie di isolare i personaggi, spostandoli in continuazione al di qua e al là della loro zona di comfort, conduce il pubblico a correre in loro soccorso, forzandolo a comprendere le ragioni dell’una e dell’altro, anche quando errate, anche quando questo schierarci ci fa sentire a disagio. Già, perché potremo mai perdonarci di aver legittimato un tentativo di seduzione da parte di un aggressore verso la vittima? Che poi, una psichiatra che cede alle sue stesse pulsioni è una vittima?

Margherita Coldesina

In cima