Teatro

“Well, Come Home!”: intervista a Elena Morena Weber, ideatrice dello spettacolo

“Well, Come Home!”: Elena Morena Weber, in primo piano, e figuranti, 2019. © Demian Bern

Well, Come Home! – è questo l’emblematico titolo del progetto artistico di Elena Morena Weber e Oliver Kühn. Letteralmente, a “ritornare a casa” e a rivivere nello spettacolo sono i più celebri cittadini del Malcantone – l’architetto Domenico Trezzini, l’imprenditrice Filomena Ferrari, la ballerina Amina Boschetti e il calciatore Roque Gastón Máspoli – provenienti da diverse epoche e con interessi assai diversi, ma tutti con radici malcantonesi, proprio come l’ideatrice dello spettacolo, che ha qui trascorso gran parte dell’infanzia e dell’adolescenza. Nata a Zurigo, da padre greco, ha vissuto negli Stati Uniti, in Ticino, in Germania ed è da diversi anni ritornata nella terra d’origine. «La tematica del cercare radici è molto presente nella mia vita e nel mio lavoro», ha chiarito Elena Morena Weber nel corso dell’intervista che ci ha gentilmente concesso, svelando tutti i dettagli dell’originale spettacolo che venerdì 27 settembre debutterà a Fescoggia.

Da dove nasce l’idea di questo progetto artistico?

«Due anni fa ho conosciuto Florindo Boschetti, proprietario della Sosta d’Arte – una vecchia casa nel nucleo di Fescoggia – che aveva visto un mio lavoro presentato al Festival Ticino in Danza. Abbiamo trascorso diverse ore davanti al camino e ho subito maturato l’idea di voler fare qualcosa ‘qui’. All’inizio avevo l’intenzione di fare una sorta di ‘museo vivente’ all’interno di questa casa, ma poi mi è sembrato chiaro che doveva essere qualcosa legato alla regione. Ho cercato la collaborazione di Oliver Kühn, specialista del teatro site-specific con cui ho già lavorato in passato, e così ci siamo lanciati insieme in questo percorso iniziando le ricerche, e ci siamo soffermati sull’idea del partire e del tornare verso un luogo. Il Malcantone ha una storia di migrazione abbastanza importante, ci siamo così resi conto che la Sosta d’Arte non sarebbe bastata e che avremmo voluto coinvolgere tutto il paese di Fescoggia.»

Lo spettacolo trae spunto da quattro celebri malcantonesi…

«Ci sono anche loro perché ci sembrava importante fare dei riferimenti a delle ‘realtà’, di modo che facilitasse l’accesso al pubblico, ma non facciamo un teatro d’informazione pedagogico, quello che a noi interessa è il lato umano. È sbagliato avere l’aspettativa che si conoscerà la biografia di un Trezzini, piuttosto che della Boschetti: sono dei cenni, delle note particolari dei personaggi che a noi sono piaciute e che abbiamo messo in forma teatrale. Il linguaggio è quello della danza e del teatro; c’è del testo, del movimento, ci sono tanti immagini, tanti colori…»

Nella locandina si legge che il pubblico ‘potrà decidere individualmente quanto tempo soffermarsi nei vari punti di Fescoggia’. Può chiarire questo aspetto?

«Il pubblico verrà suddiviso in gruppi e ci sono vari circuiti all’interno del paese, e all’interno di questo circuito sono situate queste scene, che sono da un lato i personaggi storici, però i veri protagonisti sono i nostri figuranti, un gruppo di malcantonesi, tra gli 8 e i 76 anni, in prevalenza donne. Mentre il pubblico percorre questo percorso incontra queste scene che vengono proposte in loop: nessuno dirigerà i gruppi, quindi ognuno potrà decidere se e quanto soffermarvisi; ci sarà un po’ di caos, ma ci piace l’idea che il pubblico si perda un po’.»

A differenza di uno spettacolo teatrale tradizionale, le ‘barriere’ tra attori e pubblico spariscono?

«È vero che questo velo, a differenza del teatro classico, è molto più sottile, però permette anche a molte più cose di succedere: c’è molta più interazione tra l’interprete e il pubblico. Ogni spettacolo diventerà unico, come succede anche nel teatro classico, ma penso che questo si presti ancora di più.»

Ritornando ai figuranti, c’è stata una buona accoglienza?

«Sì, penso che all’inizio sono stati mossi dalla curiosità: non si tratta di un progetto che ricorre di frequente, è una cosa abbastanza nuova per la regione. Aubert Crovato e Giovanni Gilgen avevano fatto ‘Il lupo di Curio’ [nel 2013], uno spettacolo che durava dodici ore e aveva coinvolto l’intero paese, però non sono a conoscenza di altri spettacoli del genere… È incredibile quello che si venga a creare in questo processo di lavoro con i figuranti: la disponibilità a mettersi in gioco, entrare nei panni di qualcun altro, avere pazienza, ed ascoltare. In occasione dell’iscrizione è stato chiesto loro di rispondere ad alcune domande: segni particolari, talenti, sogni e cosa non avrebbero mai voluto fare in pubblico. Si è poi creata una ‘mappatura’ del cast provvisorio, i cui ruoli sono stati assegnati in base ai talenti ed ai desideri.»

Lei non solo è una danzatrice, ma è anche l’ideatrice dello spettacolo, nonché la regista e costumista. Come si definirebbe, o le categorie, di per sé, sono limitanti?

«Il mio lavoro è nelle arti sceniche: io parto dal corpo, lavoro con il corpo, però nella forma sono legata molto al teatro perché penso sempre al contesto. Per me il movimento è importante, ma lo è anche l’estetica, la scenografia ed i costumi. Per Well, Come Home! ho curato il lavoro di costumi e scenografia: è stato un lavoro che è andato costruendosi con lo sviluppo dei personaggi. A dire il vero, se potessi tornare indietro avrei preferito studiare costumi e scenografia. Essendo una produzione della scena indipendente con un budget limitato bisogna ingegnarsi: tante cose le trovo per strada, o le recupero (ad esempio, sono stati fatti dei costumi con delle vecchie tende), e sto facendo rivivere certi oggetti che sono a casa dai miei nonni, ridandogli nuova vita.»

I testi, a cura di Oliver Kühn, sono stati definiti in divenire, come successo con i costumi, o vi siete mantenuti fedeli al progetto iniziale?

«Il testo è una bozza. Una volta che si prova si modifica e si trasforma. In tedesco si dice che ‘deve crescerti in bocca’: l’interprete deve renderlo suo. La difficoltà è stata trasmettere l’idea, nei figuranti, che la struttura debba essere tecnicamente chiara, pulita, ma che si possa giocare in modo che le due cose non si sovrappongano: essere naturali nell’interpretazione, ma al tempo stesso ‘stare nel quadro’».

Si tratta di una produzione bilingue, quali?

«Io ho un background di danza, quindi per me il linguaggio non è molto legato al testo. La danza può trasmettere delle cose che in forma di testo non si possono esprimere: è un linguaggio universale ed immediato. Credo molto nel linguaggio tramite immagini, quindi ci sarà soprattutto questo: il testo che ci sarà, sarà importante come suono, soprattutto. Poi i testi sono misti, in italiano e in tedesco. Anche i testi italiani saranno mediati attraverso le immagini, saranno quindi comprensibili, perché creiamo diversi strati: non c’è solo il testo ma c’è la persona, il costume, la situazione.»

Tra i personaggi, colpiscono in particolare quelli del Tempo e del Ricordo…

«Il tempo ha un ruolo importante, è di grande influenza sulla nostra vita. Spesso è proprio il ricordo a farci tornare indietro, dopo tanti anni passati all’estero. Nello spettacolo raccontiamo che solo con il ricordo hai un presente, e solo con il tuo presente puoi andare verso il futuro. C’è anche la figura dell’Io narrante, che è in bilico tra ricordo e futuro, e non potrebbe esistere senza di essi: non può affrontare il futuro se non si confronta con il passato.»

II percorso ha fine nella Sosta d’Arte, dove era stato ideato il progetto…

«L’idea è di coinvolgere tutti i sensi. Nel teatro sono predominanti il visuale e l’acustico. Svolgendosi lo spettacolo in uno spazio aperto si sentiranno anche gli odori del paese: quando piove in Malcantone c’è un odore che per me c’è solo qui; attraverso questa sensazione, si apre la memoria. Sono sempre i sensi che danno accesso alla memoria. Creando e aprendo anche il lato gastronomico andiamo a toccare un altro senso. Solo mangiando si riesce a creare una forma di dialogo profonda, propria del teatro e della musica.»

Lucrezia Greppi

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