In occasione del cinquantesimo anniversario di Campo urbano, l’evento artistico curato dal critico e storico dell’arte Luciano Caramel, che occupò gli spazi pubblici di Como il 21 settembre 1969, si è svolto a Villa Olmo il convegno Campo umano. Arte pubblica cinquant’anni dopo. La mostra-evento a cui aderirono una ventina di artisti di diverse generazioni e indirizzi – proponendo una serie di interventi performativi, sonori e installativi – si inseriva in un grande dibattito tra curatori e critici del tempo sugli eventi espositivi che andavano moltiplicandosi nelle strade e nelle piazze delle cittadine italiane tra il 1968 e il 1969. Contestualizzato all’interno dei movimenti di protesta e anti-autoritari sbocciati nel ’68, e la conseguente occupazione delle strade da parte di studenti e lavoratori, Campo urbano cercava un contatto con un pubblico più ampio di quello dei soli appassionati di arte.
Le reazioni all’evento sono state rievocate da Luca Cerizza, Professore di museologia alla NABA (Nuova Accademia delle Belle Arti), nonché curatore del convegno, insieme a Zasha Colah. La mostra aveva colpito l’attenzione pubblica già la sera stessa, quando si tenne un dibattito con la comunità di Como alla Camera di Commercio. Come tante assemblee fu caratterizzata da scontri e scambi di opinioni. Ad eccezione dell’Avvenire e la RSI, che ebbero parole positive per Campo urbano, dai giornali dell’epoca emergono non poche critiche, come il fatto che in realtà la mostra non facesse che riproporre il dadaismo. In molti commenti ricorrevano i seguenti quesiti: Qual è la posizione dell’artista quando entra nello spazio della città e di una comunità che ha regole molto diverse da quelle di una galleria d’arte? L’arte che entra nello spazio pubblico diventa un’estensione teatrale? Gli artisti intendevano costruire un dialogo con il pubblico?. In realtà, ha concluso il Prof. Cerizza, il progetto artistico non riuscì a creare un “ponte” con il pubblico, dato che le persone consideravano gli artisti “personalità stravaganti”, molto lontane da loro.
Robert Lumsey, Professore emerito in Italian cultural history all’University College di Londra, ha poi contestualizzato l’evento, ricordando come il ’68 sia un anno che ha acquistato ormai un’aura speciale, proprio come il 1848, l’anno della primavera dei popoli. Avveniva nel ’68 l’occupazione dell’Università della Sorbona a Parigi e In Italia a Roma lo scrittore Nanni Balestrini ricopiava le parole scritte sui muri della capitale francese in occasione dell’evento. Risale a quel cruciale anno anche L’istituzione negata dello psichiatra Franco Basaglia, libro-denuncia sulla gestione dei manicomi, una delle contestazioni dell’epoca che riscosse maggiore risonanza.
La storica dell’arte Alessandra Acocella ha invece sottolineato che prima dell’esperienza comasca se n’erano svolte tante altre: tra queste, una a Spoleto e un’altra a Fiumalbo chiamata Parole sui muri, proposta nel 1967 e poi ripetuta l’anno successivo. Ciò che però differenzia sostanzialmente l’esperienza di Campo urbano dalle altre, ha sottolineato Acocella, è il fatto che dietro c’era una regia molto più organizzata, e che l’intera manifestazione fu concentrata in un solo giorno.
La mostra
Per chi volesse ripercorrere le vicende di Campo Urbano si segnala che sino al 26 ottobre è possibile visitare la mostra dedicata, dal titolo: Documentare l’effimero. Immagini e materiali da “Campo Urbano”. L’allestimento raccoglie materiali provenienti dagli artisti, in parte totalmente inediti (come il carteggio tra Franca Sacchi e Giuseppe Chiari), gli efemera disegnati da Bruno Munari per l’occasione, una documentazione video, video-interviste dell’Archivio Mulas e stampe dell’epoca. Tra i materiali di studio un ruolo fondamentale lo hanno le immagini di Gianni Berengo Gardin e Gabriele Basilico.
Documentare l’effimero
21 settembre – 26 ottobre
Como, Spazio Borgovico33 (nell’ex chiesa di Santa Caterina)
La mostra è visitabile il sabato e la domenica dalle 10 alle 18 e dal lunedì al venerdì su appuntamento chiamando il numero: 0039/0313384976. L’entrata è libera.
Francesca Rossetti