Le serie difficoltà che il mondo della scuola sta vivendo, dappertutto, in ogni ordine e grado, sono molto più gravi di quanto può sembrare. Esse non sono soltanto le strutture inadeguate, o le inadempienze dello Stato, o l’imperizia dei “maestri” depositari e vettori delle conoscenze verso gli studenti ma rappresentano la subdola frizione tra due epoche della storia dell’uomo: lo scontro mortale tra la civiltà della scrittura e della civiltà di Internet. Cosa ancora più grave, è che sembra un processo ineluttabile e irreversibile.
Il giorno 11 novembre dello scorso anno, La Stampa di Torino pubblicava una foto dei 27 volumi dell’enciclopedia Treccani, la mitica Treccani, buttati in un cassonetto dell’immondizia. La cosa, mentre esprime l’abissale ignoranza dell’autore di questa carognata, al contempo indica, senza mistificare troppo, la fine di un luminoso periodo plurimillenario di civilizzazione, della storia umana, dello scibile acquisito con applicazione profonda, con impegno e fatica, trasmesso e consegnato da una generazione all’altra attraverso gli eccipienti della scrittura, dei libri, degli archivi, delle biblioteche, della scuola. Siamo al capolinea della civiltà della scrittura e all’inizio della civiltà Internet, della “silicolonizzazione” del mondo, livellato e uniformizzato: a Vladivostok come in Patagonia, ad Atacama come al Cairo.
Occorre ancora avere una parete di casa tappezzata con l’enciclopedia Treccani, quando in un clic ho davanti agli occhi tutto lo scibile che voglio?… Che bisogno c’è oggi di edifici scolastici, di lunghi corridoi di archivi inestimabili con scafali zeppi di antichi e preziosi codici, di strutture e di maestri esclusivamente destinati a trasmettere lo scibile, quando mi basta un clic nel telefonino per avere davanti agli occhi tutta la gloriosa enciclopedia Treccani, per informarmi su ogni tipo di conoscenza, per avere il compito già fatto? Perché devo imparare a memoria la tavola pitagorica, “L’infinito” di Leopardi, memorizzare le leggi della termodinamica, sapere cos’è la tavola periodica di Mendelev o il significato di algoritmo, se mi basta il pollice per informarmi? Ecco perché un uso sconsiderato del telefonino può essere esiziale per la scuola.
“Rifiutiamo l’informatizzazione sistematica delle pratiche scolastiche e l’uso generalizzato del tablet, attraverso cui l’insegnante viene relegato a un ruolo subalterno e costretto a vedere il suo modo di esprimersi costantemente screditato dal continuo ricorso a piattaforme presentate come l’incarnazione della verità con la loro grafica accattivante e l’apparenza ‘neutra e oggettiva’. Si sminuisce l’autorità del professore (Internet ne sa molto di più)… Ci opponiamo all’abbandono del libro stampato, elemento insostituibile per suscitare l’attenzione profonda (deep attention) e una lenta maturazione, caratteristiche indispensabili per esercitare la riflessione, per la formazione del sapere e dello spirito critico. Rifiutiamo una scuola che si vuole ‘specchio della società’ e ‘aggiornata’, mentre invece fa scomparire con la massima irresponsabilità pratiche storiche volte a garantire la salvaguardia di una parte essenziale della nostra civiltà” (Éric Sadin, “La silicolonizzazione del mondo”, 170)
Imparare è appropriarsi del sapere, metabolizzare in proprio le conoscenze, come dice il buon padre Dante: “Non fa scienza sanza lo ritener l’avere inteso” (Par. 5, 41-42). Imparare non soltanto informarsi, usando semplicemente il pollice, come in un videogioco.
Vitale Scanu