Dopo il progetto-installazione di Nachlass, il collettivo berlinese Rimini Protokoll è tornato a Lugano (ieri per il FIT) con una serie di testimonianze in palcoscenico attorno alla storia cubana, dagli anni Cinquanta. Granma. Trombones from Havana ha nel titolo il nome “Nonna”, quello della nave che trasportò i rivoluzionari dal Messico all’isola e anche del giornale di Cuba, mentre i “tromboni” sono emblemi sonanti della rivolta e del patriottismo. Infatti, tra i quattro protagonisti, c’è anche una musicista, Diana Sainz Mena, che nel corso di un anno ha insegnato agli altri a suonare.
Sono i nipoti di quei nonni che hanno partecipato in prima persona al cambiamento con ruoli diversi, contribuito alla vittoria sul dittatore Batista, all’affermazione di Castro e ancora nella contemporaneità hanno cercato di trasmettere la loro fede, saltando una generazione, perché i genitori invece più che agire ne hanno semmai seguito le tracce.
I giovani sono i rappresentanti della classe anni ’80-‘90, raccolgono i racconti, le memorie, s’identificano nei nonni, mostrano filmati e alcuni oggetti, animando la scena, narrano con spicchi di ironia, qualche sfumatura amara e critica, la propria esperienza comune e al tempo stesso diversa. Quella di Milagro Alvarez che da Carioca ha dovuto anche combattere un genere di discriminazione, vuole raggiungere consapevolezza, non è sicura che tutto quel passato sia stato giusto, vuole diventare un’insegnante di storia nonostante un salario molto ridotto; se la nonna faceva la sarta, per Milagro la macchina da cucire è solo un ritmo del tempo, da essa infatti esce una lunga striscia di stoffa che, durante la rappresentazione, scandisce il passare degli anni. Poi c’è Daniel Cruces-Prez (che per il racconto si aiuta anche con delle sagome in miniatura) il cui nonno è stato un politico di primo piano, al fianco di Fidel, se ne vedono le foto, come ministro fu incaricato dell’espropriazione dei beni della borghesia, il nipote ha ancora la lista di quel lusso che, nella disparità sociale, ha contribuito a scatenare odio, le case, i mobili, i gioielli… Tutto doveva essere diviso tra il popolo. Ma in realtà l’asta fissava dei prezzi inarrivabili per la gente comune. Christian Paneque Moreda ha avuto il nonno militare che ha partecipato alla guerra civile in Angola, tra l’altro. E la già citata Diana, il cui nonno era componente della banda ufficiale che suonava l’inno nazionale. Ora è musicista anche lei però segue una carriera individuale e va in tournée per conto suo.
Esaltazioni e crisi, le relazioni tra i due blocchi opposti in cui è diviso il mondo, la dipendenza dall’Unione Sovietica che arriva solo attraverso utensili anche poveri e malfunzionanti, l’America e la Baia dei Porci, la situazione che precipita dopo l’embargo decretato dagli Stati Uniti. Si gioca a baseball con una bottiglia di plastica. Nel chiamare in causa la platea, direttamente, nel provocarla ogni tanto come emblema di quel paese, la Svizzera, non aliena da complicità, e oggi espressione occidentale di quel consumismo che, pur nella crisi socialista, non si vede come esito ideale, c’è anche la palla che uno spettatore deve lanciare sul palco, battuta da un attore-testimone con una bottiglia di plastica appunto. Si scandisce così un’altra fase della storia di Cuba. Il crollo del blocco comunista, negli anni ’90, provocò un’altra grave crisi. Chi poteva se ne andava. Fino agli anni più recenti, alle relazioni più distensive con gli USA, al turismo che se da una parte porta ricchezza, dall’altra crea, come si sa, problematiche ai residenti.
Teneri i filmati sui nonni che narrano ai nipoti com’è stato quel passato, le nonne tradite dai mariti che però non hanno mai tradito il partito, il nonno anziano che perde qualche filo del discorso ma che dalla sua poltrona non rinnega nulla. Oggi sono morti, resta un’eredità ai nipoti di incertezze sul futuro, di dubbi, di precarietà. E in questo, al di là del passato, assomigliano ai giovani di qualsiasi parte del mondo. Una Storia e storie condensate in due ore intense, seguite con attenzione e poi applaudite dalla platea del LAC.
Manuela Camponovo