Un osservatore può agevolmente notare «la attuale postura della Chiesa cattolica… tesa a deporre ogni tratto della propria identità storica per denunciare uno scostamento troppo marcato dai princìpi dell’istinto etico-mondialista» imperante (E.G. della Loggia: Corriere della Sera 3.10.19,24). Quasi una titubanza sulla propria identità, una perdita di autostima che intende negoziare una captatio benevolentiae sul teatro del mondo, cosa che però finora ha originato solo una perdita di personalità forte e convinta e chiare indicazioni di marcia – propria di chi non crede più neanche in se stesso – considerando i suoi “princìpi non negoziabili” quasi una patina disunitiva e fastidiosa nella sua attività universale. Rimuovere, sterilizzare, necrotizzare quasi, la pienezza del nome “cristiano”, sottacendo il mandato di Gesù di «andare in tutto il mondo e predicare il vangelo ad ogni creatura, battezzandoli» (Mc 16): questo non è nel suo “statuto”. «Non appiattitevi sulla mentalità corrente», scrive Paolo ai romani (Rom 12,2). «Se, piuttosto che fare cristiano il mondo, la Chiesa stessa finirà invece per farsi eguale al mondo: dalla risposta che i fatti daranno a questi interrogativi dipenderà l’avvenire del cattolicesimo» (cit.).
Seguendo la road map della Buona Novella, i cristiani hanno coltivato, nell’arco di duemila anni, un campo sterminato, in ogni settore dello scibile e della vita sociale; così il mondo si è risvegliato con il “buon messaggio” graffito nel suo DNA, tanto «da non potersi dire non cristiano» (B. Croce). È come un singolare elemento radioattivo, che sottotraccia ferve, si rinnova, si riproduce, portando le capacità dello spirito umano alla massima potenza speculativa e creativa. Il risultato è un patrimonio sconfinato di cultura spirituale e materiale, quale nessun altro movimento spirituale si può accreditare, che ha fatto dell’Europa una prestigiosa e invidiata fonte di riferimento universale.. «Dalle radici cristiane del nostro continente sono nati la cultura e il progresso civile dei nostri giorni… Non si tagliano le radici dalle quali si è nati»: fu il severo ammonimento di papa Govanni Paolo II al presidente francese Chirac, che, con una clamorosa ignoranza storica, aveva minacciato di affossare la nuova Costituzione europea, se non ne fosse stato espunto dalle bozze del testo il riferimento alle radici cristiane.
Proprio in questo periodo d’autunno, tre date storiche fondamentali devono essere rievocate, in riferimento alla strutturazione dell’identità cristiana dell’Europa: la battaglia di Poitiers (ottobre 732), quando Carlo Martello sconfisse gli arabo-berberi-musulmani che tentavano di invadere l’Europa attraverso la Francia; la vittoria di Lepanto (7 ottobre 1571), quando i turchi musulmani volevano allagare l’Europa dal mare, a oriente (Papa Pio V, a perenne ricordo della battaglia di Lepanto, istituì a quella data la festa religiosa Madonna della Vittoria, trasformata poi in festa Madonna del Rosario, perché quel giorno la coalizione cristiana sconfisse l’esercito dell’ impero turco, sotto l’invocazione della Vergine); la battaglia di Vienna, 11 settembre 1683, quando lo tsunami ottomano islamico, già alle porte di Vienna, stava per sommergere l’Europa e tutta la cristianità. Sono date che creano insieme un risultato misterioso: una sorta di cortina difensiva invisibile che compatta l’Europa, difendendola sul terreno mediante la forza di un denominatore comune cristiano: a occidente, a oriente e sul Mediterraneo.
Sono fatti storici che, a cominciare dall’Editto di Costantino del 313, hanno propiziato la capillare diffusione del cristianesimo e compattato con chiara evidenza gli europei in un’unica anima, dietro un tervento esternosovrumano. Date come colonne portanti, che segnarono il futuro dell’Europa cristiana; senza quelle battaglie, infatti, se si fossero avverati i propositi islamici, verosimilmente l’intera Europa sarebbe ora sotto l’ombra del “profeta” e San Pietro una moschea islamica come la gloriosa Santa Sofia. Gli 813 abitanti di Otranto, decapitati dai musulmani (14 agosto 1480) per aver rifiutato di convertirsi all’Islam dopo la caduta della loro città (canonizzati da papa Francesco il 12 maggio 2013), sono un’adeguata immagine di quanto sarebbe successo in tutta Europa.
Di queste vittorie, la più importante è considerata quella di Vienna, chiamata anche “la madre di tutte le vittorie”. Maometto IV di Costantinopoli, al principio del 1683 consegna a Kara Mustafà lo stendardo di Maometto facendogli giurare di difenderlo fino alla morte. Orgoglioso della sua armata di 140mila soldati (contro i circa 80mila cristiani), Kara Mustafà giura di abbattere Belgrado, Buda, Vienna, straripare in Italia, giungere fino a Roma e collocare sull’altare di S. Pietro il trogolo per abbeverare il suo cavallo.
Il grande papa comasco Innocenzo XI, ben consapevole del grave pericolo che incombeva sull’Europa, in quello stesso anno (1683) affida al cappuccino padre Marco d’Aviano (dichiarato beato da papa Giovanni Paolo II il 27 aprile 2003) un incarico diplomatico molto impegnativo: riattivare la Lega Santa delle nazioni cristiane per fermare il disastro incombente. Padre Marco, creato cappellano generale dell’esercito della Lega, fu l’anima e il fuoco della difesa alleata, convinto com’era della necessità di affermare l’identità culturale dell’Europa cristiana di fronte alla sfida dell’Islam.
Vienna era assediata dal 14 luglio (1683) e la sua resa era questione di ore. La battaglia ebbe inizio all’alba dell’11 settembre. Le campane della città fin dal mattino suonavano a stormo, le donne e i bambini nelle chiese imploravano l’aiuto della Vergine Maria: la sua immagine è su ogni bandiera. Vienna confida solo nell’intercessione della Madonna. Prima di sera l’armata turca era in rotta e lo stendardo di Maometto nelle mani di Sobieski, il re polacco comandante supremo della coalizione cristiana. Il giorno seguente, l’eroe della vittoria clamorosa, montato sul cavallo del Gran Visir, preceduto dal grande vessillo di Maometto, fece il suo ingresso solenne in città fra un delirio indescrivibile di tutto il popolo. Mentre egli entrava trionfante a Vienna, padre Marco lo accompagnava issando un’immagine della Madonna di Loreto, alla cui intercessione fu attribuita quella memorabile vittoria. Una solenne ambasciata portava a Papa Innocenzo il grande stendardo di Maometto IV, la tenda del gran Visir e la bandiera cristiana riconquistata ai Turchi. Papa Innocenzo XI, in riconoscenza per la grande vittoria, inviò al santuario di Loreto la bandiera strappata ai Turchi, e lì ancora si conserva nella Sala del Tesoro. Il Papa, come voto di riconoscenza, istituì una festa in onore del santo Nome di Maria e san Pio X la fissava al 12 settembre, giorno anniversario della vittoria, estendendola a tutta la Chiesa. Il recente film del regista Renzo Martinelli, intitolato 11 settembre 1683, rievoca in piena aderenza storica, gli eventi determinanti della battaglia di Vienna e l’azione straordinaria svolta da padre Marco da Aviano, a buon diritto chiamato difensore del cristianesimo e “padre dell’Europa”.