«I giudici sono l’avamposto della società civile, l’antenna che ne diffonde gli umori», che raccolgono «il vento dell’opinione pubblica», «la legge siamo noi»… ed «è giusto che sia così».
Ho letto con grande interesse l’articolo su questo tema del dott. Michele Ainis (Corriere della Sera, 27 febbraio 2016). Sinceramente, e me ne scuso, lo trovo un po’ fuorviante, o quantomeno incompleto. Nel senso che non fa cenno di elementi che neanche i giudici possono sancire con la legge.
Ammesso che le leggi sorgano dalle convinzioni sociali, dobbiamo anche convenire che ci possono essere convinzioni sociali erronee o pericolose per la stessa società. Ne consegue la domanda: la legge deve sempre omologare la convinzione più o meno preponderante corrente nell’opinione pubblica? Il compito del giudice è quello di autenticare gli “umori” della piazza? Giudicare non è autenticare, ma piuttosto discernere il giusto dal falso. Conoscendo quanto sia plagiabile, umorale e mutevole la piazza, il giudice deve conformarsi e legittimare le “opinioni pubbliche”? E’ “giusto che sia così”? E’ corretto che sia la piazza a dettare la legge al giudice? O non ci sono delle soglie, dei “paletti”, non scavalcabili in assoluto – davanti ai quali tutti si devono fermare – come possono essere i valori fondanti della civiltà umana: la persona inviolabile, il rispetto per la vita, i diritti dell’uomo, il “non rubare”…? Sono valori spesso deprezzati dagli umori della piazza. Eppure costituiscono gli spalti insuperabili condivisi nel DNA dell’ umanità intera.
Se apriamo i libri di storia vediamo fenomeni di razzismo, di apartheid, di fascismi, di schiavismo, di estremismi, di “pulizia etnica”, di malcostume… ampiamente diffusi in larghe fasce di popolazione e condivisi come “opinioni pubbliche”. Non per questo la legge deve sancire tali opinioni perché sono nelle convinzioni maggioritarie di una società.
Per fare un esempio, oggi assistiamo a una sguaiata discussione sullo “schema” uomo-donna trasmessoci dalla natura fin da quando esistono il giorno e la notte, e alla messa in forse di termini quali genitor, genitrix, mater, filius (derivati da “generare”, originare vita), i muri maestri che reggono la famiglia e la società. È una discussione artefatta impadronitasi di una larga fascia della nostra società, creando “opinione”, di cui la politica si è indebitamente impadronita, come fosse un argomento da dirimere (e legittimare) mediante i giochetti politici di minoranze o maggioranze. Ogni Diritto positivo si basa sul principio di verità. “Genitore”, “genitrice”, vengono da “generare”, dare origine a una vita. Ma nelle convivenze omosessuali e lesbiche, uno almeno non è “genitore”. Una legge che sancisca un “genitore 1” e un “genitore 2”, è quindi un mendacio giuridico, perché si basa sul travisamento della verità.
Un battage onnipresente e sguaiato, che origina da centri occulti di grande potere globale, ci indica, attraverso le note Owerton Windows, qual è la finalità di queste inaudite manipolazioni dell’opinione pubblica, riducendo quei dati primordiali sulla natura umana e la famiglia a pure convenzioni sociali: il filius è ridotto, da persona con diritti e doveri, a un mero prodotto di compravendita fabbricabile e clonabile in laboratorio con tecniche veterinarie. Si stanno strutturando distruttive “opinioni pubbliche” che violentano, non dico lo schema voluto dal Creatore, ma la stessa ragione e i comportamenti consequenziali di tutta l’umanità. Mi viene in mente il presagio da incubo del grande Chesterton che, già nel 1905, scriveva: «La grande marcia della distruzione intellettuale proseguirà. Tutto sarà negato. Tutto diventerà un credo. Sarà una posizione ragionevole negare le pietre della strada; diventerà un dogma religioso riaffermarle. […] Oggi siamo metaforicamente chiamati ad accendere fuochi per testimoniare che due più due fa quattro e a sguainare le spade per dimostrare che le foglie sono verdi in estate». E Chesterton ancora non sapeva nulla delle incredibili artificiose manipolazioni odierne delle convinzioni sociali!
La road map è verso un “mondo nuovo” globale, finalizzato verso mega interessi elitari che bacano ogni ambito di attività sociale. È forse giusto che il giudice soggiaccia a queste capziose “opinioni pubbliche” e le sancisca ufficialmente come legge? Evelyn Beatrice Hall, per illustrare lo spirito di Voltaire, così lo condensava nel noto assioma: «Non condivido quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo». E va bene. Ma chi ha, certamente, il diritto di esprimere le proprie opinioni, anche le più estreme (?), ha pure il diritto di metterle in essere, commettendo delitti inimmaginabili? O non compete al giudice di far osservare i limiti e indicare l’esiziale pericolo in nuce che certe opinioni pubbliche erronee contengono?
È fuorviante quindi un principio che sancisca indiscriminatamente l’adeguamento dell’etica e del diritto ai costumi della società, “al vento dell’opinione pubblica”, al volere di una maggioranza fuorviata.