Musica

Roberto Vecchioni senza filtri: l’“Infinito” svelato a Lugano

Roberto Vecchioni, Infinito Tour, Palazzo dei Congressi di Lugano.

 

La nebbia che avvolgeva Vecchioni a Milano (Luci a San Siro) lo ha inseguito sino a Lugano, dove ha cantato, immerso nel buio e celato dal velo del sipario, la misteriosa storia di un uomo che in un’offuscata stazione è assalito dai dubbi. La foschia assorbe ogni punto di riferimento – scompaiono bar, treni, binari – e l’uomo, perplesso, non sa più se quella sia una stazione, non ricorda dove è diretto, e soprattutto, la ragione della valigia che impugna: pesantissima e dal contenuto ignoto e inspiegabile, dato che non può aprirla. L’inizio del concerto tenutosi il 7 novembre al Palazzo dei Congressi di Lugano, tappa de l’Infinito Tour, è criptico, così come lo sono le canzoni dell’ultimo disco del cantautore. A gettare luce su di esse chiarificandone i significati sottesi, è stato l’autore stesso nel corso della serata, accolto da un fragoroso applauso, non appena il sipario si è aperto.

L’atmosfera ricreata nel monologo d’apertura di felliniana memoria (Amarcord) annunciava il primo brano inedito, Una notte, un viaggiatore, chiara eco del romanzo di Calvino. Nella canzone, insieme allo smarrito protagonista, c’è anche una ragazza bruna che «s’intravedeva appena appena in controluce», un bambino «al lume della luna» e «quel giocatore con un full in mano», ricordo del padre del cantautore. La stazione è immagine della morte (presunta, come la nebbia di Fellini, nella celebre scena in cui il nonno teme di essersi perso nell’aldilà, per poi scoprire di essere proprio davanti alla sua casa) e insieme della vita, con tutti i suoi misteri, rappresentati dalla pesante valigia che il protagonista sorregge: «c’è dentro una cosa che non si può spiegare: l’amore per ciò che si vive», commenta Vecchioni, o forse «una pietra che spiega il motivo per il quale siamo al mondo», aggiunge. Un notturno è anche l’autobiografica Com’è lunga la notte, che introduce uno dei fil rouge dell’album: la forza dell’uomo di far fronte al fato. Inutile cercare una protezione o un “segno” («queste stelle che non fanno niente / stanno a guardare con le mani in mano»), bisogna invece essere artefici del proprio destino (come il protagonista, «con quello scrigno sotto il braccio / dove teneva il suo destino»), e intessere legami autentici, come quello che unisce Vecchioni alla moglie. Ogni canzone d’amore è dedicata a Daria Colombo, omaggio che si va ad aggiungere a quelli fatti da poeti e trovatori di tutti i tempi perché la sua donna è la somma di tutte le donne di tutti i tempi (Laura, Beatrice, Lara del Dr. Zivago…).

Dopo questo «valzerino» – così lo ha definito il cantautore – si è ripercorsa la storia di chi ha subito un avverso destino (Giulio, dedicata a Regeni, ricercatore italiano ucciso in Egitto, e a tutte le donne che dall’alba dei tempi soffrono per la perdita del figlio: Andromaca, la mamma di Cecilia nei Promessi Sposi…), chi lo ha affrontato (Ti insegnerò a volare, che celebra la determinazione del pilota Alex Zanardi dopo aver perso entrambe le gambe in uno scontro in pista) e chi si deve preparare a farlo; dedicata ai ragazzi di oggi è Formidabili quegli anni, dove Vecchioni avverte: «le libertà che avete / mica c’erano a quei tempi / noi ci siamo fatti il culo / tocca a voi mostrare i denti». Coraggio che certamente non è mancato a Cappuccio Rosso, Ayse Deniz Karacagil, giovane combattente turca che morì in Siria per aver sposato la causa dei curdo-siriani e la guerra all’Isis. Vecchioni, sinceramente commosso, ha subito sdrammatizzato cantando Vai, ragazzo, scritta per i suoi alunni di greco e latino, che chiedevano lui cosa rispondere a chi offendeva l’utilità dei loro studi. Rivolgendosi a un “tu” universale il Professore sottolinea l’importanza di conoscere il passato per interpretare e possedere il presente: «tu conosci l’alba della vita, / non il loro sole spento, / loro lo conoscono al tramonto […] salva il fiore del passato / in un mondo di desolazione / non è il cielo l’infinito / l’infinito è  nella tua emozione». Finale, questo, che preannuncia l’Infinito, la canzone dedicata a un Leopardi inedito e smascherato, la cui tristezza e disperazione rivela un cieco amore per la vita, dalla quale è stato tradito, ma che canta ne La Ginestra, fiore sconosciuto che nasce dal Vesuvio, e nel Tramonto della luna, dove, dall’oscurità, «torna di nuovo il sole»

Lucrezia Greppi

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