All’età di 88 anni, dopo breve malattia, è morto Giuliano Giulini, assicuratore di professione, ma fotoreporter di una vita collaterale per il GdP. Abbiamo chiesto a Giuseppe Zois, che lo ebbe per decenni come prezioso collaboratore, un ricordo.
Fotografava il presente e l’attualità, coglieva e viveva il ritmo sempre più veloce del vivere d’oggi; lui però, Giuliano Giulini, era saldamente ancorato come stile e come modi di fare ad un mondo che gli era ormai desueto. Non è comune, specialmente oggi, trovare persone pronte a impegnarsi con disponibilità piena in una passione, soprattutto se questa si chiama fotografia, per giunta al servizio della cronaca. Giuliano Giulini come professione faceva l’assicuratore. Dall’alto di Airolo per anni planava con puntualità esemplare a Lugano ogni domenica sera. E di giorno si immergeva nelle pratiche quotidiane, che gli erano diventate familiari. Aveva un carattere aperto, gentile nel rapporto con chi arrivava allo sportello, con un immancabile sorriso che creava familiarità immediata con l’interlocutore di turno. Anche in questo era un uomo d’altri tempi: lo si vedeva dal garbo con cui si esprimeva, dal vestire.
Accanto al lavoro, tuttavia, sentiva incoercibile il richiamo dell’obiettivo (senza mai piegarsi peraltro alla dittatura delle nuove tecnologie): aveva la fotografia nel sangue. Faceva l’impossibile quando gli si proponeva un evento o un personaggio da fotografare; resta inspiegabile come riuscisse in operazioni decisamente complesse viste le tempistiche dei giornali. E tutto questo in tempi in cui internet non era ancora arrivato a stravolgere abitudini consolidate. Si poteva essere quasi certi che Giulini ce l’avrebbe fatta. Quando poi entrò nella schiera dei pensionati, per lui fu una festa: avrebbe potuto dedicarsi appieno dovunque la cronaca avesse chiamato.
Avendolo conosciuto per decenni, posso dire che aveva il Giornale del Popolo nel sangue: possedeva il candore e l’entusiasmo di un bambino, che si inorgogliva per uno scatto, per quelle che ai tempi in gergo si chiamavano ancora “primizie”. Voleva arrivare prima e il più delle volte gli riusciva. Paradossalmente, quando ha avuto più risorse di tempo a disposizione, gli si sono ristretti gli spazi espressivi: il GdP ha ridotto la foliazione e per lui è stato un dispiacere inimmaginabile. Lui che si affannava per essere “sulla notizia” con l’immagine; lui che se la prendeva e mi martellava di telefonate per dirmi che la cronaca deve essere istantanea e non rafferma; lui che era molte cose assieme in virtù delle quali era un personaggio nella “sua” Leventina e in particolare ad Airolo, ma che sconfinava volentierissimo anche fuori nella Valle Blenio, in Riviera. Quando poi c’era l’Ambrì, il fotoreporter si esaltava, abbinando al compito di fotografare anche il tifo dichiarato. Copriva le partite e, pur essendo refrattario alle eccessive e crescenti sollecitazioni della tecnologia, ce la faceva a trasmettere fino all’ultima rete della partita dalla Valascia. Se poi vinceva l’Ambrì, si esaltava, anche perché l’indomani, dalla finestra del suo ufficio in assicurazione, a Lugano, con vista sui filari di vite del Convento dei Cappuccini, poteva canzonare i frati che tifavano per il Lugano. Va detto, a onor del vero, che l’indimenticabile Fra’ Corrado, quello delle questue e dello storico premiato Merlot, con qualche confratello, si divertivano – nell’ora dei trionfi bianconeri – a punzecchiarlo stendendo al sole un bianco camice e un nero piviale per canzonare il dirimpettaio. Il giornalismo di allora era anche questo, con una dimensione umana che va estinguendosi.
Giuliano Giulini ha fotografato tutta la sua valle: sapeva puntare l’obiettivo su tutti, consiglieri federali o cardinali di passaggio o in vacanza ad Airolo (ad esempio l’arcivescovo di Torino, Severino Poletto). E ancora lo scorso Primo Agosto, al Passo del San Gottardo, nel suo impeccabile completo grigio, passò a fissare volti e personaggi intervenuti alla Messa e poi alla risottata per 800 commensali. Resterà in molti il ricordo di un uomo generoso e mite, che lavorava per l’idea, l’ideale e per la passione e non voleva mai niente: solo il riconoscimento della gratitudine e di un “bravo, Giuliano!” che ricambiava con un sorriso. Lo ricorderanno anche molti fedeli di Airolo: un’altra passione dell’estroverso Giulini era infatti la musica: per una vita ha suonato l’organo ogni domenica, ogni festa, sempre quando una circostanza lo richiedeva. Peccato non ci sia più il giornale della sua vita a rendergli onore per gli innumerevoli meriti acquisiti in tutta una vita.
Giuseppe Zois