Il dolore è ancorato alla speranza, annota Marguerite Duras in una pagina del diario che accompagna la lunga attesa, vissuta come uno stato esistenziale, legata al ritorno dai campi di sterminio del marito Robert L. (lo scrittore francese Robert Antelme, lo scrittore de L’espèce humaine sopravvissuto all’Olocausto, che Duras aveva sposato nel 1939.
Donna che soffrì tantissimo, almeno quanto sedusse e scrisse, sentenziava Sandra Petrignani nel suo splendido Marguerite mon amour (2014, Neri Pozza) descrivendo quell’autrice dalla vita irripetibile, così fitta di amori e vicende intrecciate con la Storia con la S maiuscola.
Così come si è intrecciato l’amore con Dionys Mascolo, altro scrittore che nel 1947 le ha dato un figlio.
Marguerite convive a lungo con entrambi nel cuore durante la sua attesa: posso aspettare qualcun altro se mi fa piacere aspettare, scrive sul suo diario.
Antelme, tornerà cadaverico dal campo di Dachau, appena liberato dagli americani. Marguerite riuscirà a curarlo in tempo e a salvarlo: 17 giorni durante i quali Antelme non mangia e non dorme fino a riprendersi lentamente e a ritrovare la giusta dimensione della vita.
Il diario della Duras si articola in due parti, pagine dense di riflessioni sulla vita, sull’essere e il dramma di non riuscire a costruire e a saper vivere il presente cadenzato dal trascorrere del tempo.
Scritti che ritroviamo ne Il dolore, romanzo autobiografico che, secondo l’autrice, nasce appunto da quel diario rimasto nascosto per anni.
In occasione della Giornata della memoria, il Teatro Sociale e Gianfranco Helbling hanno deciso di produrne uno spettacolo affidando la messa in scena a Margherita Saltamacchia, attrice di talento che, oltre ad essersi già cimentata con letture sceniche come Il fondo del sacco e Frankestein, autoritratto d’autrice, aveva già messo mano sulla Duras per un ciclo di letture sceniche notturne di alcuni diari d’autrici del Novecento, un progetto proposto nell’ambito dell’edizione del 2018 del compianto Festival Territori. Tra quelle letture rientrava appunto Il dolore, un contenuto assolutamente in linea con il tema della giornata come riflessione su quelle pagine buie e tremende che oggi accompagnano il ricordo delle persecuzioni e dello sterminio nazista degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale.
Una scelta felice che la Saltamacchia ha tradotto con un adattamento agile e riuscito, sfruttando il più possibile la forza evocativa delle parole, le luci e i suoni restituendo alla platea del Sociale l’atmosfera angosciosa dell’attesa di Marguerite.
Un climax che l’autrice, regista e interprete ricostruisce con l’aiuto in scena di Rocco Schira, piazzato lateralmente sul fondo dietro a una consolle alle prese con una loopstation e occasionalmente anche al violino e voce.
Con lui, sul lato opposto, Raissa Avilés modula la sua voce per parole, suoni e canti composti ed eseguiti con Bella intensità.
Al centro del palcoscenico una sedia ospita Margherita Saltamacchia, attrice protagonista di un accorato monologo, un’ora di sentimento reso con grande maturità ed efficacia teatrali, una bella prova per l’artista che si è impadronita del personaggio con naturalezza e meditata passione.
La platea del Teatro Sociale ha risposto con slancio alla chiamata del debutto occupando tutti i posti e tributando alla protagonista e ai suoi partner calorosi applausi.
Giorgio Thoeni
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