Silvia Villa
La prima del nuovo lavoro di De Florian e Tagliarini ieri sera al LAC.
“Mi fanno male i capelli”. Una delle battute storiche del cinema italiano. Il film è Deserto Rosso di Antonioni. L’interprete, Monica Vitti. Alias Giuliana. Alias una donna che ha tentato il suicidio e a cui fa fatica la vita. Distante da tutti perché avvolta da un dolore esistenziale secco e arido, vicina solo a se stessa ma senza avere gli strumenti giusti per trovare almeno in sé stessa un po’ di sollievo. A Giuliana non fanno solo male i capelli. A Giuliana fa male il mare, gli occhi, la gola. Indolenzita e sola, si muove tra il qui e il niente senza saperne esattamente riconoscere la differenza.
Con Quasi Niente, Daria Deflorian e Antonio Tagliarini sono riusciti a mappare questo deserto sbriciolando Giuliana dentro cinque personaggi che, come lei, si spostano sui binari dell’immobilità.
Lo spettacolo, liberamente ispirato a Deserto Rosso, è andato in scena per la prima volta ieri sera al LAC, e ancora una volta questi narratori fini e intuitivi sono riusciti a produrre un testo che articola con una leggerezza disarmante l’angoscia esistenziale, il tentativo di fuga, la tenerezza dei successi, la vertigine della ricaduta. Cinque personaggi che potrebbero essere stati raccolti in uno solo, se il punto centrale del testo non fosse la frammentazione. In questo modo, allargano lo spazio interiore di Giuliana e lo mostrano come uno spazio, un deserto, condiviso e condivisibile indipendentemente dall’età e dal sesso. Se nel film di Antonioni la depressione assume solo la forma ormai tipificata della moglie e della madre, in Quasi Niente si appropria dei corpi di tre donne e due uomini, che si raccontano o, come gli autori sottolineano spesso “se la raccontano”. Raccontarsela è un modo come tanti per sopravvivere quando la fatica del vivere è troppo. Allora si vive di metafore, di sintomi: ogni dolore una malattia mortale, ogni pensiero, un potenziale episodio depressivo. Allora ogni oggetto diventa un simbolo: fedeli alla bravura con la quale Deflorian e Tagliarini sanno trasformare le cose in focolai di emozione (il loro Il Cielo non è un Fondale ne è un altro esempio), la scena accoglie solo pochi mobili, tutti carichi di significato, tutti contenitori di passati e futuri possibili eppure bloccati nell’oblio del presente.
Cinque narrazioni che si alternano con grazia tra risate e dolore, accompagnate dalla voce elegante di Francesca Cuttica, il cui canto porta con sé le note dei deserti cinematografici. Sul palco, i cinque si muovono come sospesi nel tempo, i loro passi non fanno rumore. Solo a volte, in violenti lampi di coscienza, le loro interazioni con gli oggetti di scena diventano ossessive, violente, frenetiche, fino a che non ritorna il loro passeggiare ovattato di fantasmi. Fino a che non spariscono dietro al fondale, e rimane solo una stanza vuota, con una poltrona, un comò, un armoir, ad aspettare che qualcuno aspetti con loro.