Riassemblare le tessere di un mosaico antico e disperso, i frammenti di un gigantesco puzzle da risolvere, specchio della nostra Storia, riflesso del passato la cui luce riverbera sul presente. Semplificando, potrebbe forse essere così definita la storia degli scavi archeologici alle grotte di Qumran, tra Gerico e Gerusalemme, divenute note per la scoperta dei Rotoli del Mar Morto, «la più grande scoperta di manoscritti antichi dell’era moderna» (Wiliam F. Albright). I resti di circa 960 manoscritti, datati fra la metà del III secolo a.C. e il I secolo d.C., permettono di aprire una finestra sull’esperienza ebraica al volgere dell’era, un periodo fondamentale per il giudaismo e per la nascita del cristianesimo. Il corpus di manoscritti del Mar Morto è costituito, in primis, dai libri biblici (il libro dei Salmi, Deuteronomio, Isaia, Esodo, Genesi e Levitico), seguono i targumim (versioni in aramaico della Bibbia ebraica), i tefillìn (strisce di pergamena con passi del Pentateuco) e le mezuzot (pergamene con passi della Torah e preghiere). Non mancano testi deuterocanonici e quelli caratteristici della comunità stanziata sul Mar Morto (tra cui, il Documento di Damasco, Rotolo del Tempio e Lettera del Maestro di Giustizia), così come una serie di documenti che trattano di compravendita di terreni e altri beni (tra questi, il Rotolo di rame).
Tutto è cominciato nel 1947, quando l’archeologo israeliano Eleazar Lipa Sukenik, su mandato dell’Università di Gerusalemme, acquistò i primi manoscritti comparsi sul mercato antiquario. Le indagini alle grotte di Qumran continuarono dal 1949 al 1958, e portarono alla scoperta di undici siti ove erano contenuti preziosi manoscritti ebraici. Nel 1956 furono scoperti dai beduini i resti di circa trenta Rotoli del Mar Morto, alcuni tra i meglio conservati dell’intera collezione: Rotolo dei Salmi, Rotolo del Tempio, Paleo Levitico. Dopo aver ricevuto la notizia, Gerald Lankester Harding (direttore del Dipartimento delle antichità giordane) e il domenicano Roland de Vaux (direttore dell’École Biblique di Gerusalemme) continuarono gli scavi, effettuati per conto dei dipartimenti che dirigevano e il Museo archeologico della Palestina. La ricerca continua con Joseph Patrich (Università di Haifa) nel 1988 e 1991, su mandato dell’Università ebraica di Gerusalemme. Il passo successivo è stato svolto in tempi recenti, a partire dal 2015, dall’archeologo di fama mondiale Dan Bahat e Marcello Fidanzio, direttore dell’Istituto di Cultura e Archeologia delle terre Bibliche FTL e del Qumran Caves Publication Project – una collaborazione tra École biblique et archéologique française di Gerusalemme, Istituto di cultura e archeologia delle terre bibliche della Facoltà di Teologia di Lugano e Università della Svizzera italiana. I frutti di questa ricerca, condotta dall’équipe di esperti nella grotta 11Q, sono contenuti in Cave 11Q. Archaeology and New Scroll Fragments. La prima presentazione mondiale del libro si è svolta ieri all’USI, alla presenza dei maggiori specialisti da Gerusalemme e da università svizzere, e di un gremitissimo pubblico.
L’incontro, moderato dal Prof. Giancarlo Dillena, è stato l’occasione per fare chiarezza sul mosaico d’interpretazioni che ruotano intorno ai Rotoli del Mar Morto alla luce delle recenti scoperte ad opera dell’équipe diretta dal Prof. Fidanzio, tra manoscritti e ritrovamenti inediti (frammenti di tessuti di lino, resti di manufatti in pelle e in legno, fibre di palma, piante medicali, ossa animali) e quelli già emersi durante lo scavo del 1956, ma indagati attraverso i mezzi di cui gli antichi archeologi non potevano disporre: l’intelligenza artificiale. Su questo aspetto si è soffermato il Prof. David Hamidovic (Università di Losanna), sottolineando che le odierne tecnologie permettono di ritracciare con precisione le calligrafie dei diversi scribi in un medesimo manoscritto. Questi preziosi documenti – ha aggiunto il Prof. Jörg Frey (Università di Zurigo) – permettono inoltre di comprendere come veniva trasmessa la conoscenza alla comunità: dai diversi manoscritti emergono lievi mutazioni che permettono di comprendere che gli antichi scribi erano interessati a trasmettere il messaggio di Dio nella sua sostanza: il numero di volte in cui i salmi ripetono letteralmente un passaggio biblico è piuttosto raro. Sul tema dell’intelligenza artificiale è poi tornata la Prof.ssa Daniela Mondini (USI), commentando che anche per gli storici dell’arte costituisce una preziosa risorsa da riconsiderare. Mondini si è poi congratulata per il lavoro svolto dal Prof. Fidanzio – plauso condiviso anche dal rettore della Facoltà di Teologia di Lugano René Roux e dal rettore dell’Università della Svizzera italiana Boas Erez – per aver svolto un ottimo lavoro di «archeologia dell’archeologia», in quanto si sono occupati di uno scavo già effettuato dai precedenti studiosi.
Il Prof. Fidanzio ha esordito ripercorrendo le varie tappe degli scavi archeologici di Qumran, soffermandosi in particolare sul prezioso lavoro svolto da Roland de Vaux per l’essenziale mediazione con i beduini, massimi conoscitori del territorio (a cui insegnò anche ad effettuare gli scavi), e con le autorità politiche (ottenne per i beduini un lasciapassare dal Dipartimento delle Antichità di Giordania, per legalizzare gli scavi ed evitare così che i manoscritti finissero sul mercato nero), senza dimenticare la controversia con John Marco Allegro (che per accelerare la sua carriera diffuse alla BBC dei contenuti travisati dei manoscritti, poi smentiti dal Times). Il Prof. Fidanzio, ha poi rivelato le scoperte della sua équipe, non prima di aver ricordato il delicato contesto geopolitico del Qumran, del passato così come del presente, tracciato da Jean-Baptiste Humbert e Dan Bahat, i quali hanno ricordato che i manoscritti del Mar Morto sono stati probabilmente portati da Gerusalemme e nascosti a Qumran dal popolo in fuga dalla minaccia dei romani di Vespasiano che stavano per conquistare la zona. Oltre a preziosi manoscritti e piccoli frammenti – che hanno avviato una importante ricostruzione di rotoli sino a 5 metri (Rotolo dei Salmi) o più di 8 metri (Rotolo del Tempio) – l’équipe di Fidanzio ha fatto una scoperta decisiva: la grotta 11 di Qumran (così come la 1, 2, 3, 6 e molte altre) non era una residenza settaria, come ritenuto da Roland de Vaux, ma un deposito per manoscritti.
Un progetto del genere non si realizza da soli, ha sottolineato Fidanzio, ricordando sia il prezioso contributo dei ricercatori Marco De Pietri e Benedetta Torrini, sia il cruciale ruolo svolto dalla Svizzera, stato neutrale che ha offerto la possibilità di incontro fra diversi interlocutori impegnati nella ricerca e nello studio di rari manoscritti ritrovati in un contesto geopolitico instabile.
Lucrezia Greppi