Strade deserte, scuole chiuse, aeroporti, musei, teatri, stadi vuoti… Potrebbe sembrare l’inizio di un romanzo di fantascienza, ma in realtà è ciò che sta capitando negli ultimi giorni anche nel nostro paese.
L’epidemia del Coronavirus (Covid-19) è innanzitutto un’emergenza sanitaria e come tale dev’essere trattata. Tuttavia essa rappresenta anche un’emergenza economica.
Tutto è iniziato sul fronte dell’offerta. Saggiamente, per impedire la diffusione in alcune regioni della Cina è stato bloccato tutto: lavoratori obbligati a stare a casa, chiusura di stabilimenti produttivi, stop alle aziende. Erano queste le immagini che guardavamo dai nostri televisori qui in Europa. I fatti non sembravano così importanti. Abbiamo pensato, sbagliando, che la Cina fosse molto lontana; abbiamo pensato, sbagliando, che quanto stava accadendo non ci avrebbe toccati. Invece, in un mondo così interdipendente e globalizzato la Cina è, come si diceva negli anni ’60, molto vicina. I nostri vestiti, le nostre posate, le componenti delle nostre automobili, i nostri farmaci: tutto comincia in Cina. Ecco perché se la Cina si ferma, anche noi abbiamo dei seri problemi. Senza fare allarmismi, pensiamo alla produzione di farmaci: l’India fabbrica il 20% dei medicinali a livello mondale e acquista dalla Cina il 70% dei principi attivi. Se la Cina si ferma, l’India si ferma, la produzione dei nostri farmaci si ferma.
In un secondo tempo, il virus si è permesso senza tanti preavvisi di varcare i confini continentali e ha iniziato a diffondersi in Italia. Con un po’ di supponenza abbiamo continuato a percepire questa emergenza come se fosse lontana: d’altra parte tra noi e l’Italia c’è una dogana. Ma pure in questa occasione abbiamo sbagliato l’analisi: i contagi sono iniziati anche nel nostro Paese. Viviamo in un mondo interdipendente e globalizzato.
Se nel primo caso con la Cina, sono le merci a spostarsi e a renderci dipendenti l’uno dall’altro, nel secondo caso con l’Italia sono le persone che vanno e vengono da questo paese a renderci dipendenti l’uno dall’altro.
Questa dipendenza ci ha fatto toccare con mano l’altro lato della crisi. Le persone non possono uscire di casa, non possono lavorare, non possono passare il loro tempo libero insieme. Dal punto di vista economico non possono consumare e quindi anche la domanda soffre.
Le difficoltà contemporanee di domanda e offerta fanno sì che le previsioni relative alla crescita economica subiscano un brusco rallentamento. E questo non è solo un problema teorico per gli economisti. I nostri sistemi economici hanno bisogno che il Prodotto interno lordo cresca ad un certo livello per poter mantenere stabile il tasso di disoccupazione. Affinché questo succeda è necessario che il PIL aumenti almeno per compensare la crescita della forza lavoro e l’aumento della produttività (che spesso dipende dal progresso tecnologico). In altre parole se la quantità di beni e servizi prodotti da una nazione in un anno non è abbastanza grande, le persone non avranno un lavoro e di conseguenza un reddito con cui vivere.
Superata l’emergenza sanitaria che deve rimanere la priorità, questa crisi economica è l’occasione per ripensare i nostri sistemi che si sono fondati troppo sull’idea che la “mano invisibile” avrebbe portato solo benefici. La mano invisibile, in nome di un’illusoria efficienza dei costi e di un altrettanto illusorio abbattimento delle distanze, ci ha portati a delocalizzare le nostre produzioni in Paesi lontani, a diventare dipendenti dal volere altrui, a mettere a repentaglio settori vitali per l’autonomia di una Nazione. Telecomunicazioni, energia, trasporti, industria alimentare, farmaceutica: sono solo alcuni dei beni e servizi a cui una nazione, nell’interesse della tutela dei suoi cittadini, non può rinunciare.
Ora che questa strategia evidenzia i suoi limiti, chiediamo a gran voce l’intervento della “mano visibile”, quella dello Stato: sussidi, sovvenzioni, abbassamento dei tassi di interesse, esenzioni fiscali sono in agenda per aziende e cittadini. Ottima risposta nel breve periodo. Insomma, disinfettiamo bene le mani e aspettiamo che passi l’emergenza. Poi però stiamo attenti: i problemi legati alla globalizzazione e a questo modello economico non passeranno lavandocene le mani.