Non voglio parlare di statistiche, di medie o dei numeri di contagiati o deceduti. Ormai veniamo bombardati quotidianamente con questi dati. Voglio parlare di qualcosa d’altro. Voglio parlarvi di cosa significhi trovarsi ad affrontare questa emergenza da italoamericana. Da qualcuno che, sebbene si trovi nel focolaio della Lombardia, ha parenti e amici oltreoceano che ancora non hanno capito la gravità della situazione.
Se c’è una città degli Stati Uniti che verrà colpita pesantemente, questa è New York, la mia città natale.
C’è purtroppo una convinzione radicata nella maggior parte di noi “americani” di essere intoccabili, che nulla può accaderci, che in qualche modo noi siamo fuori dal mondo: una vetrina che tutti ammirano e che nessuno può rompere. Ma non è proprio così. Il coronavirus è arrivato anche nel paese a stelle e strisce, si diffonde velocemente e adesso nessuno è più intoccabile, nessuno è più invincibile.
Insomma, è arrivata la paura.
Negli Stati Uniti, così come in Italia qualche settimana fa, i supermercati vengono presi d’assalto. Le persone comprano di tutto. Non è strano che in situazioni di panico le persone acquistino le cose più assurde?
File immense per fare benzina. Dove pensate di scappare?
File immense per comprare armi. Contro chi le volete usare?
E poi la sanità, quella sanità che si spaccia per la migliore del mondo. Adesso verrà messa alla prova. Verrà chiamata a rispondere. Quanto davvero è all’avanguardia la sanità privata americana? Tutti si concentrano sul costo del tampone, ma non è quello il problema. Il tampone può anche essere gratis, l’ostacolo arriva se sei positivo al Covid-19. Puoi permetterti di curarti? La tua assicurazione coprirà i costi?
In Italia ho cugine e cugini che sono medici e infermieri e che da settimane ormai fanno turni inimmaginabili. Fanno del loro meglio, portando in reparto tutto ciò che è stato appreso durante gli anni di studio, gli anni di tirocinio, l’istinto, l’umanità. Sudore e lacrime. E le mie cugine, infermiere a New York, sono adesso chiamate a fare la stessa cosa. E sale la preoccupazione di una famiglia allargata suddivisa tra la Lombardia e New York, tra la speranza che tutti stiano al sicuro e la consapevolezza che forse non sarà così.
Ti ritrovi a guardare le persone a cui vuoi bene attraverso uno smartphone e queste che ti chiedono: “Cosa dobbiamo fare?”, “Come ci dobbiamo comportare?”. State a casa.
Fermare New York vuol dire fermare la macchina economica americana. Non è facile, probabilmente è impossibile. “Fare soldi” è sempre stato nelle menti di noi newyorkers: non è questione di avidità, ma di mentalità.
«A New York non vogliono chiudere le attività. Si perdono troppi soldi. Molta gente qui continua a uscire… credono sia solo un’influenza. Passerà», mi raccontano.
Anche qui in Italia dicevano così e ora non sanno più dove mettere le salme dei pazienti deceduti.
Maria Elisa Altese