Un amico mi manda la fotografia della sua bambina: ranocchietta dagli occhi sgranati, seduta al centro di un’enorme vasca da bagno, tra i riflessi ocra delle piastrelle. Aggiunge una didascalia scherzosa: “Vals sur Petit-Saconnex”. Gli rispondo divertito, intenerito, con un gioco di parole che mi frulla in testa in questi giorni: “è un bell’esempio di s/confinamento”. Quell’esse privativa, per una volta, apre orizzonti insperati.
Dal passato viene allora a galla un profumo, l’aroma della stanza da bagno in un condominio di Bedano. Siamo alla fine degli anni Settanta. Spazi moderni e confortevoli; un bel passo in avanti rispetto alla tinozza in plastica gialla in cui a Tengia, solo qualche anno prima, facevamo il bagno in mezzo alla cucina. Eppure sono ancora tempi rustici, nessuno si sogna docce quotidiane; i due maschietti e le due bambine che vanno a scuola alla stessa ora si lavano denti, viso e ascelle ogni mattina, e hanno diritto al bagno caldo una sola volta per settimana…e con la stessa acqua per tutti, uno in fila all’altro.
Ma questo non frena la fantasia dell’infanzia, assecondata dalla fabbrica ipnotica della pubblicità televisiva. Da Tahiti Dusch: sul piccolo schermo in bianco e nero assistiamo incantati alla strepitosa performance di una donna seminuda, sotto il getto qualunque di una doccia esigua; la ragazza stura la miracolosa confezione della crema-sapone – un recipiente quadrato, in plastica nera, con un disegno di palmizi e di onde azzurre – e d’improvviso la scena viene stravolta. Non siamo più in un anonimo appartamento cittadino, giacché la fanciulla, grazie ai prodigi della fragranza, con dissolvenza incrociata si ritrova su una spiaggia esotica. Sole abbacinante, palme fruscianti, i piedi nudi nella sabbia d’oro.
Inutile dire che, quando arriva il sabato, al momento del bagno settimanale, proviamo anche noi a trasformare il quotidiano in evasione. Non abbiamo diritto al costoso sapone liquido, ma c’industriamo per tramutare la stanza da bagno in un mondo fatato: copriamo l’alta finestra sul cortile con un asciugamani azzurrino, agghindiamo maniglie e rubinetti con lavette versicolori, riempiamo la vasca a metà, lasciando un filo d’acqua sgocciolante come un ruscelletto tra le fronde.
Non ricordo se ci fosse anche lo stereo nero portatile, con la radio in sordina. Quel che so è che quel semplice bagno in penombra diventava allora per noi una spiaggia da sogno. E sono sicuro che l’immaginazione, la fantasia ingenua di quei bambini, è stato l’acciarino della mia capacità d’inventare mondi, quel dono che un po’ pomposamente potremmo chiamare la “vocazione dello scrittore”. La facoltà di evocare, di trasformare, di trascendere, che consente a chiunque – come per la celebre siepe di Leopardi – di vivere più intensamente e di s/confinare “di là da quella”. Forse, mi dico, quest’esperienza arcaica e quieta di un confinamento necessario alla lotta contro la pandemia farà germogliare in molti di noi una più spiccata brama di evasione interiore. E sono sicuro che la bimba tenerissima degli amici di Ginevra ricorderà un giorno con infinita nostalgia il suo soggiorno del marzo 2020 alle terme di Vals sur Petit-Saconnex.
Pierre Lepori