Musica

Folgorante interpretazione di Kirill Petrenko al LAC

Enrico Parola

“Il direttore d’orchestra famoso più sconosciuto al mondo”: con questo apparente gioco di parole “Die Welt” parla di Kirill Petrenko, il nuovo fenomeno del podio, ormai prossimo ad assumere la guida dei Berliner Philharmoniker, che l’hanno “prenotato” già tre anni fa, folgorati dal suo gesto. Mercoledì il pubblico di Lugano Musica ha potuto toccare con mano il perché, come del resto il perché le interpretazione del quarantaseienne russo sono salutate come vere e proprie epifanie di un genio: questa estate a Lucerna, suonando Beethoven coi Berliner, ha letteralmente mandato in visibilio il pubblico; il critico del Corriere della Sera Enrico Girardi ha sentenziato: “Sotto le mani di Petrenko i berlinesi suonano in un modo tale che non si esita a indicarli come la migliore orchestra al mondo”. Petrenko è approdato a Lugano con quella che è ancora la sua orchestra, la Bayerisches Staatsorchester, con cui ha offerto una folgorante interpretazione della seconda sinfonia di Brahms.

Un trionfo, col rapinoso finale che è stato davvero un’apoteosi con le fanfare di tutti gli ottoni a intonare una sorta di inno alla gioia che ha scatenato il pubblico; gli applausi hanno scrosciato per ben dieci minuti (purtroppo senza ottenere l’agognato bis). Petrenko cura ogni fraseggio, ogni contrappunto; non cerca soluzioni ad effetto o l’originalità fine a se stessa; semplicemente illumina la partitura con soluzioni anche semplici, modifiche quasi “scolastiche”, ma che rappresentano un modo diverso, una prospettiva nuova attraverso cui guardare capolavori celeberrimi.

Come l’incipit del secondo movimento, una lenta discesa che tutti la eseguono legatissima; Petrenko chiede ai violini di legare due note alla volta e non quattro, ma “appoggiando” tutte le note, con l’effetto di arrivare comunque a un legato ma dando un’ariosità, un respiro magnifico che alleggeriva senza perdere di intensità. Sorprendente è stata anche la prima parte, non solo per i due bis con cui Patricia Kopatchinskaja ha duettato col primo violoncello (danze di Widmann) e col clarinetto (Milhaud), ma per come la straordinaria solista moldava che vive ormai in Svizzera ha interpretato, ma si potrebbe dire affrontato il Concerto per violino di Shonberg: una pagina petrosa e pietrosa, difficile, che può incutere timore al solista per le esagerate difficoltà tecniche e il pubblico perché letteralmente rigetta la scrittura tradizionale violinista in cerca di vie nuove, di effetti nuovi che allignano nella dodecafonia. Kopatchinskaja non li teme e anzi li ama, vi si immerge con passione debordante, e così facendo trascina il pubblico al cuore del Concert, rivelandone passioni e significati inauditi. Tanto che di un concerto di cui Boulez diceva che “bisogna rispettarlo più che amarlo” è riuscita a farne un brano davvero amabile, soprattutto nel secondo e terzo movimento. Applausi interminabili e convinti anche per lei, oltre che per la formidabile corazzata bavarese.

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