Per la serie di interviste a viaggiatori e appassionati di viaggio, questa volta abbiamo interpellato Giorgio Thoeni, nome ben conosciuto e anche collaboratore della nostra testata.
Sei un appassionato di vela, raccontami un po’ la storia di questo tuo rapporto, quando e come è nato, cosa significa per te, quali mari e coste ami frequentare….
La mia passione per la vela è strettamente legata al mare anche se è nata sul lago, in particolare sul Ceresio. E abbastanza tardivamente, circa venti anni fa. Per uno che è nato a Genova potrà sembrare bizzarro. Va però considerato che, quando ero piccolo, praticare la vela era uno sport che non tutti potevano permettersi mentre oggi la situazione è decisamente diversa. La mia vicenda personale mi ha portato, in seguito, a trasferirmi a Lugano dove, se devo essere sincero, non pensavo che avrei coltivato quel genere di interesse.
Tutto è iniziato quasi per gioco quando, complici alcuni amici, sono stato invitato a partecipare a delle regate organizzate dal circolo velico di Lugano. Un debutto che ha trasformato la mia curiosità nel desiderio di fare nuove esperienze. Volevo approfondire la conoscenza della barca a vela, delle sue regole, della sua pratica, del suo mondo. Così, dapprima ho preso la licenza per la navigazione sul lago, poi quella per il mare. Accanto a ciò ho fatto mille letture accompagnate da sogni straordinari a cui si sono aggiunte diverse crociere sul Mediterraneo a bordo di imbarcazioni di amici o prese a noleggio.
A quel punto mancava solo una barca che fosse mia. L’ho scovata in un cantiere della Svizzera interna, ai margini del lago dei Quattro Cantoni. Un acquisto a buon mercato ottenuto dando fondo ai miei risparmi e grazie ai consigli di un amico. In quattro e quattr’otto eccomi diventato armatore di un piccolo sloop di 8 metri, una barca francese degli anni ‘70 in ottimo stato a cui ho dato il nome di “Mamé”, in omaggio a mia nonna materna con cui fantasticavo passeggiando lungo le banchine del Porto Antico a Genova. Dopo un paio di anni di permanenza sul lago di Lugano – troppo limitato per le mie ambizioni di aspirante navigatore – decido di trasferirla sul mare, a Prà (Genova), dove sono rimasto alcuni anni recandomici per i fine settimana.
Nel frattempo cresceva la voglia di misurarmi con qualcosa di più ambizioso. La svolta avviene nella primavera del 2009 quando vengo invitato da Cristina Lombardi – grande amica e straordinaria navigatrice – a partecipare a una traversata atlantica: tappa importante per una passione che si sta rivelando fondamentale. In tre, su una barca di 8 metri e mezzo, percorriamo 2800 miglia (ca. 3500 Km) in 23 giorni, dalla Martinica alle Azzorre. Quell’avventura, così intensa, mi rimarrà impressa per sempre.
Al ritorno, decido di lasciare Genova e navigare fino in Scozia a tappe, sfruttando le settimane di vacanze lavorative, anno dopo anno. Un progetto che riaccende con vigore la mia passione. Così, nel 2011 lascio il golfo genovese fino a Sète, dopo Marsiglia. Dopo l’attraversamento dell’Etan de Tau, un ampio lago salato famoso per le sue coltivazioni di ostriche, imbocco il Canal du Midi e dopo aver passato le sue 110 chiuse raggiungo l’estuario della Garonne per poi sbucare sulle acque dell’Atlantico. L’ho fatta breve ma, tappa dopo tappa e soprattutto anno dopo anno, raggiungo e costeggio tutta la Bretagna da sud a nord fino all’estate del 2015, quando attraverso il Canale della Manica partendo da Abert Wrac’h fino a Plymouth.
Nel 2016 ho proseguito il mio viaggio costeggiando la Cornovaglia fino all’estrema punta di Land’s End (la Finisterre britannica) da cui fare “un salto” per raggiungere l’arcipelago delle isole Scilly da cui ripartire in solitaria per attraversare il Mare d’Irlanda. Dopo una notte particolarmente avventurosa, riesco a prendere un gavitello irlandese a Baltimore da cui proseguo, dopo qualche giorno e altre tappe fino a Crossheaven (Cork). L’anno dopo riparto alla volta di Bangor (Belfast), un percorso che non dimenticherò facilmente e che ha messo a dura prova la mia capacità marinara. L’anno successivo riprendo il mare da Bangor, sempre in solitaria, e finalmente arrivo in Scozia, a Inverkip, a poche miglia da Edimburgo. Al rientro nell’Irlanda del Nord lascio la barca a Donaghadee, un minuscolo marina (il “marina”, inteso come porto turistico è di genere maschile, ndr) poche miglia a sud di Belfast.
Arriviamo nel 2019, quando decido di ripartire sulla via del ritorno ma, a causa della perdita del motore, devo fermarmi e lasciare la barca ad Arklow, a sud di Dublino. Ora “Mamé” è ferma in attesa di poter mollare nuovamente gli ormeggi verso nuove destinazioni. Non abbandonerò facilmente quei mari.
In tutti questi anni, da quando ho lasciato il Mediterraneo, ho imparato a goderne la vastità, l’imprevedibilità, l’irrequietezza e la bellezza di quella parte di Nord. Con le sue maree, le sue correnti, i suoi infìdi bassofondali, i suoi fiordi, i suoi paesaggi incontaminati, le sue impervie scogliere, le sue pericolose ma affascinanti nebbie. E la foce dei suoi fiumi dai quali risalire per trovare un rifugio per qualche sosta. Li preferisco alla simpatica confusione mediterranea, alla massa di croceristi estivi con cui raramente condividere la cultura e la solidarietà che nasce dal mare e nutre il mondo della vela. È come se ci fosse un confine geografico che sottolinea le differenze. E più si naviga a Nord e più si incontra gente vera. Magari meno chiacchierona, certamente più di sostanza. Non ne ero sicuro quando sono partito da Genova ma dopo questi anni ne ho la certezza.
E ora i miei soggiorni talvolta hanno il sapore di un esilio volontario.
Ma viaggi anche con altri mezzi? E ci sono paesi o continenti che ti hanno colpito più di altri?
In passato ho viaggiato molto, soprattutto in Europa, una sola volta in America. In treno o in aereo, parecchio in automobile. Molto spesso da solo e per la maggior parte dei casi per lavoro. Ma il vero e proprio “viaggio”, quello che ho nel cuore, resta legato alla navigazione, al mare.
In quel contesto ritrovo me stesso in compagnia della natura, dei suoi imprevisti, delle sue insidie. Il mare pretende infatti rispetto ma anche diffidenza, regala emozioni forti a patto che tutto si svolga in sicurezza. È buona regola. È un percorso lungo, talvolta molto faticoso, non si smette mai di imparare, dove l’arte di arrangiarsi, di avere pazienza e di mai disperare sono una costante.
Navigare vuole spesso dire rimanere a lungo soli con sé stessi, in balìa di riflessioni e silenzi. È il momento giusto per gustare una profondità intima, salutare, che dà la giusta proporzione alla vita che si lascia a terra insieme alle abitudini più quotidiane.
Mi è capitato più volte di trascorrere anche più di due settimane fermo, ormeggiato in porticcioli solitari, solo in barca con i miei pensieri con quei mille lavoretti che ti tengono compagnia e fanno volare le ore. Non mi sono mai annoiato. È una scuola di vita a cui ormai non voglio rinunciare. E quando torno a casa, sono felice di ritrovare i miei affetti e le mie abitudini, ma il cuore torna presto a palpitare in attesa del momento in cui tornerò a bordo di “Mamé”.
Cosa cerchi, cosa pensi di trovare, quando inizi un viaggio?
Dopo la mia lunga premessa credo di aver in gran parte lasciato intendere che cosa rappresenta per me quel tipo di viaggio. Anche perché nella navigazione è racchiuso il mistero e la sorpresa di incontri e scoperte.
Con la natura, soprattutto, ma anche con situazioni che altrimenti non permetterebbero di entrare in contatto con persone straordinarie, con abitudini e storie che si legano alla vita più di ogni altra cosa per sincerità e onestà: incontri che regalano semplici ma intense e generose emozioni senza chiedere nulla in cambio.
E adesso, da “fermo”, come viaggi?
Sarà banale ammetterlo ma i miei viaggi, in questo speciale periodo di clausura ma anche in altri contesti, li faccio spesso attraverso la lettura di carte nautiche, di portolani, dei miei diari di bordo. Grazie a loro mi immagino nuovi itinerari o ricostruisco quelli già percorsi, con le loro piccole o grandi avventure che rintraccio e rivivo fra le pagine dei diari o fra le varie mappe accanto a fotografie di navigazione. Spesso mi capita anche di voler rileggere dei libri che mi hanno particolarmente intrigato. Da certi racconti ritrovo delle situazioni che mi sono capitate davvero e rivedo luoghi che ho conosciuto.
Come attraverso le descrizioni di Björn Larsson ne Il cerchio celtico, dove l’autore svedese nutre la trama del romanzo con preziosi dettagli su navigazioni impegnative realizzate a bordo della sua barca a vela lungo le coste della Scozia occidentale.
Appena si potrà, quale sarà la tua prima destinazione?
Quando sarà finalmente possibile rimettermi in viaggio vorrei tornare alla mia barca in Irlanda e riprendere il mio viaggio verso Sud.
Da Arklow vorrei attraversare il canale di St.George (circa 130 miglia) per approdare nel porto di Millford nel Galles. Da lì mi piacerebbe scendere verso la Cornovaglia per poi risalirne la costa fino a Plymouth e quindi attraversare il Canale della Manica fino in Bretagna. Raccontato così sembra una passeggiata ma non lo è. Si tratta di navigazioni impegnative e non prive di rischi. Ma la voglia è tanta e la carica pure. Il mio obiettivo è quello di poter trovare un ormeggio definitivo (o quasi) a St. Malo dove poter lasciare la barca per il resto dell’anno, quando è stagione, continuare a navigare in quelle acque fra la Francia e l’Inghilterra, lungo quelle coste così selvagge e ricche di storia.