Dopo il successo di Il senso della bellezza, girato al CERN, il nuovo documentario di Valerio Jalongo, Storia di classe – L’acqua, l’insegna la sete, è stato selezionato nel Concorso nazionale al festival Visions du Réel, che quest’anno si svolgerà online. Il film sarà visibile (unicamente in Svizzera) per 24 ore, da sabato 25 aprile alle 17.00 a domenica 26 aprile alle 17.00 sulla piattaforma del festival e contemporaneamente sui canali RSI, RTS e SRF. In questo particolare momento in cui tutte le scuole sono chiuse, Storia di classe – L’acqua, l’insegna la sete ci racconta proprio della scuola, con un ritratto intimo sul destino di un gruppo di ragazzi, tra pentimenti e sogni, desideri e illusioni: la storia di una classe fra tante, che a volte sembra inseguire i versi di una poesia. Il film è una coproduzione Aura Film (CH), RSI Radiotelevisione svizzera e Ameuropa International (I) con Rai Cinema. È prodotto da Enzo Porcelli e Silvana Bezzola Rigolini, ed è sostenuto dall’Ufficio Federale della Cultura (UFC), Repubblica e Cantone Ticino, FilmPlus della Svizzera italiana, Suissimage, Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo (MiBACT) e Regione Lazio-Fondo regionale per il cinema e l’audiovisivo.
Sinossi
Lopez, un professore in pensione, ritrova in un vecchio giornale di classe “L’acqua, l’insegna la sete”, una struggente poesia di Emily Dickinson che in pochi versi rivela come la vita ci insegni il valore delle cose. Il prof. Lopez ha conservato tutto di quella classe: compiti, temi, perfino un videodiario girato insieme ai ragazzi quindici anni prima. Tanto lavoro e buona volontà, eppure molti ragazzi di quella classe avevano abbandonato prima del tempo, non avevano mai preso un diploma. Un’amara sconfitta per la scuola e per chi ci si era dedicato con passione. Sull’onda di quella poesia e dei suoi ricordi, il prof. Lopez sente il bisogno di sapere cosa è rimasto di quegli anni passati insieme; parte così alla ricerca dei suoi alunni, che oggi sono ormai dei “vecchi” trentenni. Porta loro in dono i temi che ha conservato per tutto questo tempo. Rileggendoli insieme, riaffiorano confessioni, storie, momenti di scuola che quasi magicamente riprendono vita davanti ai nostri occhi: nelle immagini del videodiario, i trentenni di oggi tornano adolescenti pieni di slancio, ingenuità, entusiasmo per la vita. In questi anni difficili non tutto è andato per il verso giusto: ci sono stati anche momenti drammatici, sconfitte, delusioni. Il prof scopre che nessuno dei ragazzi fa il mestiere per il quale la scuola lo aveva preparato. Ma davvero la scuola serve a dare un mestiere? Forse la sorpresa più bella è che ognuno di loro è cresciuto in una direzione diversa e imprevedibile, trovando in se stesso le risorse per reinventarsi: Yari, Jessica, Lorenzo, Gianluca, Corinna, Alessio… A poco a poco emerge un ritratto intimo del destino di ognuno, tra pentimenti e sogni, desideri e illusioni: navigando tra frammenti del passato e del presente, fra quegli alunni teneri e indisciplinati e le loro vite di adulti si disegna l’impronta del tempo passato insieme, e la storia di una classe fra tante, che a volte sembra inseguire i versi di una poesia.
Note di regia
Anno dopo anno, ero testimone di una strage silenziosa. A me, insegnante alle prime armi, sembrava impossibile che nessuno dicesse nulla, che i ragazzi, le famiglie non protestassero. Noi insegnanti avremmo dovuto sentirci in colpa per quello che accadeva nella nostra scuola, e invece accettavamo questa strage come se fosse una cosa normale. Anno dopo anno, cambiavano le facce, i nomi, i modi di vestire dei ragazzi, ma tutto si ripeteva. Qualche madre a volte protestava. Ma i ragazzi sembravano rassegnati. La maggioranza non si vedeva più, sparivano per sempre, inghiottiti dal mondo fuori del cancello. La nostra scuola continuava come sempre. Senza alcuna memoria. La domanda che facevamo noi professori era sempre la stessa: perché siete qui se non vi interessa studiare? Non c’era quasi mai una vera risposta, se non quella che comunque nella vita, un “pezzo di carta” serve. Quindici anni fa, insieme al prof. Lopez e ad altri insegnanti, abbiamo deciso di raccontare la storia di una di queste classi, coinvolgendo anche i ragazzi nelle riprese di un video-diario collettivo. Tra le 8 prime classi formate nell’anno scolastico 2004/05 ne venne estratta a sorte una. La 1a E dell’istituto Roberto Rossellini di Roma.
Questo film nasce per creare memoria di persone troppo piccole per essere notate, storie troppo lente per essere osservate con i soliti tempi cinematografici. Non bastano sei settimane di riprese per svelare cose che gli stessi ragazzi e le loro famiglie vogliono tenere nascoste. Di cui non possono o non vogliono essere consapevoli. Ci vuole tempo per capire. Per arrivare all’essenza delle cose. Molto tempo. Ci vuole tempo per dare modo alla verità di emergere. Ci vogliono 5 anni di riprese, su un arco di 15 anni. Prima 3 anni di video-diario, dal 2004 al 2007. Poi ancora 2 anni di riprese per seguire i ragazzi della 1a e oggi, che sono ormai dei “vecchi” di 30 anni. Facendo questo film ho capito cose che non mi erano affatto chiare come professore: ho capito che a volte anche i professori migliori sono coinvolti in promesse che la scuola non riesce a mantenere. Come Lopez e molti suoi colleghi, promettevamo ai nostri studenti che se si fossero impegnati, se si fossero dimostrati meritevoli avrebbero avuto un lavoro sicuro, certezze, riconoscimenti… non immaginavamo che il mondo stava preparando per quei ragazzi un futuro precario, pieno di passi indietro anche nei diritti che consideravamo acquisiti per sempre. La cosa più toccante per il prof. Lopez e per me quando siamo tornati da quei ragazzi oggi trentenni, è stato scoprire che nessuno dava la colpa alla scuola del proprio fallimento scolastico. Nessuno sembrava arrabbiato o deluso, fosse anche solo per il fatto che su una classe di 29 ragazzi solo uno lavora (da precario) nel mestiere che ha studiato a scuola. In questo film si racconta di promesse e tradimenti. Ma solo ora, quindici anni dopo, forse potrei suggerire a quei ragazzi una risposta alla domanda che noi prof facevamo allora: a cosa serve impegnarsi, approfondire, conoscere… se non riesce a cambiare le cose?
La testimonianza del Prof. Lopez
Dopo trent’anni di insegnamento avevo l’impressione di aver dato e ricevuto tutto il possibile dalla scuola, nel bene e nel male. Dalle prime scorribande a Roma e nel Lazio, come precario di Lettere e di Storia e Filosofia, ero finalmente approdato grazie all’ultimo, pachidermico concorso nazionale, al ruolo di Italiano e Storia e all’assegnazione di una piccola, tranquilla, accogliente, scuola superiore prevalentemente femminile a Fiumicino. Quando però mi si diede la possibilità di trasferirmi al Rossellini, scuola di tecnici cinetelevisivi dove avrei potuto insegnare Storia del Teatro e Letterature Straniere, avere scambi con tecnici e docenti esperti di cinema e fotografia, la tentazione di accettare una nuova sfida prevalse. La soddisfazione non durò a lungo. Il Ministero preferì far prevalere la omogeneizzazione dei curricola tra i vari istituti professionali. A migliorare la traballante preparazione di base di troppi, occorrevano più ore di educazione linguistica e grammaticale di base nei primi anni, eliminando le “superflue ciliegine” della Storia del Teatro e Letterature Straniere. Mi ritrovai così a insegnare solo Italiano e Storia in classi quarte e quinte sempre più affollate e per lo più con ragazzi che, di solito, univano a carenze di base e disinteresse per le materie culturali, una evidente insoddisfazione per i difetti e i ritardi nella pratica delle materie tecnico-professionali. Il che era tanto più frustrante visto pure la decisa scrematura a cui erano stati sottoposti nei primi anni di corso. Scoprii infatti che il Rossellini si distingueva tra gli istituti professionali di Roma, del Lazio e d’Italia, per le altissime percentuali di bocciature e abbandoni soprattutto nel biennio iniziale.
Fu così che il progetto del collega e regista Valerio Jalongo di sperimentare un coinvolgimento attivo, almeno biennale, dei ragazzi di una prima che, sotto la guida dei docenti, unisse subito teoria e pratica e realizzasse una propria storia di classe filmando sia gli aspetti più personali e privati sia quelli più collettivi e scolastici, mi trovò subito pronto a partecipare, anzi addirittura a coordinarlo per la parte didattica e culturale. Finalmente una via di uscita da una routine frustrante! Valerio e io ci stimavamo senza essere ancora amici. Ci conoscevamo soprattutto per i nostri interventi al collegio docenti. Diversi per carattere, toni e competenze, ma convergenti nella denuncia dei difetti dell’Istituto e nel desiderio di escogitare dei rimedi. Dopo molti anni avrei dovuto affrontare la fatica fisica, ancor prima che mentale, di comunicare con ragazzi del primo anno, spesso turbolenti, spesso usciti da studi approssimativi o mal fatti della scuola media inferiore, spesso poco motivati allo studio. Pensai che dovevo mirare in alto e cogliere l’occasione perché il progetto servisse a loro e a me come specchio nel risvegliare curiosità, interesse e partecipazione anche per la storia, la poesia, la lettura e la scrittura.