Le masse di turisti all’assalto soprattutto del patrimonio museale e architettonico italiano io le vedevo in televisione. Da tempo, come vi ho spesso raccontato, cerco di viaggiare in periodi di cosiddetta “bassa stagione” e di frequentare luoghi meno “consumati” dalla folla. Ma mi è anche capitato di trovarmi solitaria in una piazza nota o di aggirarmi per le navate di una chiesa famosa, come ad Arezzo ad esempio (San Francesco), unica “pellegrina” a contemplare La leggenda di Piero.
Venezia no, la più martoriata tra le città d’arte, la visitavo a novembre e naturalmente c’era meno gente, ma il flusso era piuttosto continuo, gli orientali andavano in gondola, magari dopo essersi sposati, rabbrividendo dal freddo… Non c’era tregua, ma adoravo arrivarci con il treno, attraverso la nebbia che merlettava la fisionomia di chiese e palazzi le cui ombre galleggiavano fantasmatiche in quella visione incantata che si vede in tanti dipinti. Il teleschermo, tra le polemiche, proiettava comitive vomitate dai pullman che alla città davano poco, a parte il dovuto pedaggio, troppo cara per mangiare anche solo un panino sul posto. Arrivavano di corsa e con i minuti contati se ne andavano. Per non parlare del continuo mordi e fuggi di indipendenti anche maleducati che ne aumentavano solo la sporcizia.
Avevo letto che c’erano tour di giapponesi per visitare l’Europa in otto giorni! Una volta mi sono imbattuta agli Uffizi di Firenze in un gruppo di questo tipo e allora l’ho pedinato per capire quanto tempo ci avrebbe messo. E ho visto come facevano: piombavano in una sala, ne catturavano il quadro simbolo (ad esempio La Primavera di Botticelli), la guida lo illustrava in pochi secondi ed erano fuori; da me cronometrati, neanche un’ora e si trovavano già all’uscita! Che tipo di esperienza si sarebbero portati a casa?
Per quanto riguarda il mare italiano, ho sempre amato la Liguria, spiagge strette, meglio se di sassi, al massimo 3-4 file di ombrelloni, oppure scogli isolati, acque cristalline, calette raggiungibili talvolta solo in barca, persino a luglio si riusciva ad evitare il gomito a gomito. Rimini la vedevo d’inverno e ne restavo inorridita con quelle distese infinite, immaginavo la quarantesima fila, quando il mare diventava un traguardo da maratoneta e poi una volta in acqua, ancora camminare, prima di riuscire a nuotare senza “toccare”. E le spiagge libere? Tutti appiccicati a cercare di conquistare la propria striscia di sabbia…
Code infinite d’auto, gli esodi del San Gottardo, anche quelli visti solo attraverso lo schermo televisivo, un rifiuto forse derivato dall’infanzia, quando la domenica si andava in Francia (vivevo quasi al confine), peccato che tutti, proprio tutti, avevano la stessa, identica, idea. Almeno quando si è su un treno non si deve aspettare ore fermi in una scatola di lamiera incandescente.
E gli aeroporti con la gente che bivaccava appena c’era un problema? tutte esperienze che non ho mai fatto, fortunatamente.
Così, avevo un sogno. Sognavo spiagge con poche persone distanziate e fila di gente educata che non ti soffiava sul collo il suo afrore; sognavo una Venezia deserta e silenziosa, dove potevi sentire il suono dei tuoi passi umani sul selciato, come mi era capitato qualche notte di tanti anni fa.
So di essere politicamente scorretta, so che stiamo attraversando una tragedia, penso ai lutti, a coloro che hanno dato la vita per salvarne altre, penso a chi è rimasto senza lavoro e ai rischi di domani, ad un’esistenza che non sarà più la stessa. Ma anche la più orribile delle situazioni non è priva d’insegnamenti. Si era forse arrivati ad un punto di non ritorno. Io avevo un sogno… Non pensavo certo di sognare il Covid-19 e non so se questo servirà, a giudicare da quello che è successo con i primi allentamenti anche da noi. Però almeno per questa estate so che (forse) una parte di quei sogni si potrà avverare.