Sulla Norvegia occupata Josef Terboven – il Reichkommissar mandato da Berlino nel paese sull’Atlantico – aveva il massimo controllo: ex Gauleiter di Essen, ad Oslo era diventato il podestà. Terboven aveva autorità illimitata sulla Norvegia invasa dal nemico esterno e umiliata dall’usurpatore interno; quel Vidkun Quisling che – autoproclamatosi capo di un governo de facto fantoccio dopo un colpo di Stato, forte del suo due per cento di consenso elettorale – prese il controllo del paese, ma dovette spartire la torta con chi gli aveva concesso di fare il capetto dei norvegesi. I quali, in massa, erano estremamente contrari al Nazionalsocialismo imposto da Sud dopo l’operazione Weserübung. L’occupazione tedesca della Norvegia (paese notoriamente pacifico che, in ottica nazista, aveva la funzione di stato-cuscinetto per evitare attacchi britannici) prevedeva un rigido controllo sulla stampa, sui generi alimentari, sulle associazioni politiche e culturali. Solo il Nasjonal Samling – Unione Nazionale, il partito di Quisling, di estrema destra, antisemita, nazionalista – era rimasto in piedi, dopo che gli altri erano già stati spazzati via nei primi mesi della dittatura.
Per i primi anni della guerra, quando quello con l’Unione Sovietica era l’unico fronte “aperto” della Germania, i vertici del Reich temevano che gli Alleati, concentrati in Inghilterra, potessero sferrare un attacco verso la costa norvegese, ma il fallimento di Londra in tal senso costò invece la poltrona di Primo Ministro a Neville Chamberlain (maggio 1940). Nonostante questo, la marina British era ben attrezzata e temuta dai tedeschi, tanto è vero che Berlino mandò diverse risorse per fortificare le sponde norvegesi ad Ovest, creando la cosiddetta Festung Norwegen. In cinque anni di occupazione (1940-1945), il tandem Terboven-Quisling – i due non andavano d’accordo, ma a comandare era effettivamente il primo – curò per filo e per segno la totale nazistizzazione del territorio norvegese, cosa che accese molte proteste in diversi strati della popolazione. A differenza di Cristiano X di Danimarca, il Re dei norvegesi Haakon VII – che del sovrano di Copenaghen era il fratello minore – fu costretto a fuggire a Londra, ma restava ancora popolarissimo nella memoria della sua gente e faceva sentire in prima persona la propria vicinanza ai cittadini tramite servizi radio mandati in onda dalla BBC, proibita nel Reich e nei territori occupati dal 1941.
Nel febbraio 1942 Quisling impose a tutti i ragazzi dai dieci ai diciotto anni di far parte della federazione giovanile del NS (su modello-parodia della Hitlersjugend), ma ben presto dovette fare i conti con la resistenza attiva di molti insegnanti nelle scuole del regno. Il caso dei maestri norvegesi è piuttosto famoso: essi si rifiutarono in massa di ricoprire il ruolo di agenti dello Stato addetti al lavaggio del cervello dei propri alunni, discreditando ulteriormente il ridicolo Quisling, sempre più isterico e violento nei confronti degli insegnanti. Lo stesso, che aveva svenduto il proprio popolo al Reich per la carriera politica che mai era riuscito a costruirsi in democrazia, godeva di scarsissimo sostengo politico. A partire dall’ottobre 1942, visti diversi insuccessi nell’emulare i nazisti nelle conquiste dell’Europa Centrorientale, Quisling introdusse la pena di morte per chiunque fosse sorpreso a fabbricare e divulgare materiali propagandistici clandestini. In cinque anni di occupazione, la resistenza di gran parte dei norvegesi fu ammirevole anche in questo senso, nonostante il sorgere di leggi che imponevano la censura. Fu proprio in risposta a tale restrizione governativa che molti norvegesi dissidenti editarono una serie di pamphlet, giornali e pubblicazioni che conferivano ancora più forza al movimento di resistenza.
Come in molte altre realtà europee, anche in Norvegia il rigetto del Nazifascismo venne sviluppato da diverse tendenze politiche. Un ruolo distaccato e minoritario lo ebbero i comunisti – sui quali pendevano taglie da centomila corone –, che in Norvegia – a differenza di altri paesi – non si sono intestati il merito assoluto dei successi della lotta partigiana. Ancora oggi, in Norvegia la Resistenza è patrimonio della nazione, non di alcuni schieramenti politici che da tre quarti di secolo abusano del termine e si attribuiscono successi che andrebbero non solo ridimensionati, ma divisi con altri compatrioti che versarono il proprio sangue per la libertà. Tutti gli attori – bianchi e rossi – sono stati essenziali nell’opposizione algoverno filonazista, nonché alla micidiale Gestapo, diretta in Norvegia da Gerhard Flesch, responsabile del campo di concentramento di Falstad, nonché del massacro di decine e decine di oppositori. Flesch – come molti nazisti più in alto nella catena di comando – sarebbe poi scappato con un lingotto d’oro da Trondheim, per poi essere catturato. Processato nel 1946 a Oslo, fu fucilato il 28 febbraio di due anni dopo, mentre Terboven si suicidò l’8 maggio 1945, giorno della capitolazione tedesca.
Nel complesso, poco meno di mezzo milione di norvegesi venne imprigionato durante la guerra: un quarto venne spedito nei campi di concentramento. Millequattrocento di questi morirono nel gelo dell’Est o soffocati dallo Zyklon-B. 772 ebrei vennero mandati direttamente nel campo di sterminio di Auschwitz: solo trentaquattro sopravvissero alla guerra (circa il quattro per cento). In totale, un terzo della popolazione ebraica norvegese perì: la stessa frazione degli ebrei di tutta Europa. Oggi il museo ebraico di Oslo ripercorre casa per casa le loro vite spezzate. Il 13 maggio 1945 il Principe Olav V, capo formale delle forze militari dall’estero, tornò in Norvegia; il 7 giugno, settantacinque anni fa, lo raggiunse il padre Haakon. Il quale venne acclamato come un eroe, ma eroi erano soprattutto i norvegesi che in larghissima maggioranza non solo non approvavano l’atroce ed illegittimo regime di Quisling (giustiziato, dopo il processo, nell’ottobre 1945), ma – senza voltarsi dall’altra parte come fecero in molti all’epoca – sabotarono a più riprese la folle macchina omicida degli occupanti nazisti.
Amedeo Gasparini
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