Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi
Ho preso il consiglio alla lettera, per una che abita a Lugano. Che ne dite di Breganzona? Scommetto che chi non vive nei paraggi, ma magari anche chi ci vive e proprio per quello, non abbia mai pensato di fare una passeggiata, così per il gusto di bighellonare senza uno scopo preciso, da quelle parti. Nel nucleo storico, visto che ormai è sfigurata dalla cementificazione, come tutto il resto. E ho trovato degli scorci sorprendenti, perché, come dice il saggio, l’importante non è andare in posti nuovi ma vedere con occhi nuovi (parafrasando Proust, proprio lui). Piazzette solitarie, vicoli, archi nel saliscendi delle stradine, un’antica meridiana, la cornice di una natura suggestiva ed esotica, spiata attraverso i giardini delle ville, muretti e persiane che hanno un colore e un’architettura da villaggio tra fatiscente e sopravvissuta memoria. Alcune abitazioni avrebbero bisogno di urgenti lavori di restauro ma non per questo mancano di fascino. Altre, tralasciando quelle più note e firmate, possiedono stili interessanti con la curiosità di lacerti di affreschi o la rivisitazione delle finte finestre dipinte.
Un po’ di storia. Breganzona era comune autonomo già nel 1925, avendo inglobato il soppresso Biogno, con cui condivideva la chiesa parrocchiale di San Quirico e il cimitero, allargando così i confini fino a Muzzano. Il quartiere si è unito a Lugano nel 2004 (assieme a Cureggia, Davesco-Soragno, Gandria, Pambio Noranco, Pazzallo, Pregassona, Viganello).
Per secoli, le attività principali del quartiere sono state legate all’agricoltura. Si fa fatica oggi a pensare che il territorio fosse ricoperto da pascoli e vigneti. Ma fino agli inizi dell’Ottocento non se la passava bene, funestato da carestie, epidemie di peste e colera, pessime condizioni meteorologiche. Questa situazione costrinse molti suoi abitanti all’emigrazione, come il resto del Ticino (in Russia, America Latina, ma anche verso l’Italia e oltre San Gottardo). Un epitaffio ricorda il breganzonese Pietro Polar (1773-1845), deputato al Gran Consiglio, Consigliere di Stato e giudice del Tribunale d’appello: Pietro Polar che la patria ascrisse fra i suoi benemeriti quando languente per la fame magnanimo la provvide di vettovaglie nel luttuoso 1817 (aveva fatto giungere frumento dalla Russia). Nell’Ottocento centrale per l’economia fu l’allevamento del baco da seta, nel 1890 si contavano qui 1500 gelsi (oggi ne restano una trentina). A lungo la popolazione fu piuttosto esigua; nel 1800 era meno di 400 abitanti, in 150 anni salì a 883. Nel 1970, gli abitanti di Breganzona erano già 2.800 e, nel 1991, 5.000. Di pari passo con lo sviluppo demografico vennero edificati un centro scolastico e un centro sportivo, sistemate le vie di comunicazione e potenziate diverse infrastrutture, tra cui le canalizzazioni.
Il monumento artistico di maggior rilievo è l’Oratorio di San Sebastiano, consacrato nel 1595, ampliato nel 1643, in stile barocco e nuovamente nel 1719; l’ultimo restauro risale al 1960-1961 (la facciata della chiesa, raffigurante San Rocco, testimonia dell’epidemia di colera). L’edificio è a pianta rettangolare. Quando mi sono fermata davanti, la chiesa era chiusa, ma varrà la pena di ritornarci, leggo da una scheda che all’interno, a navata unica a tre campate coperte da volta a botte, si trova la tela coi Santi Carlo Borromeo e Giovanni Battista al cospetto della Madonna, opera della prima metà del secolo XVII. Il coro è coperto con volta a crociera e ospita un altare in stucco del XVIII secolo, con la pala dei Santi Sebastiano e Rocco del 1714, e due oli su tela di Giuseppe Antonio Petrini con le Sante Lucia e Apollonia e Sant’Antonio Abate. La cappella laterale della Madonna del Carmelo, edificata nel 1643, custodisce un olio su tela con la Madonna che dona lo scapolare ai santi Simone Stock e Caterina da Siena.