Si resta come abbacinati dall’ingresso alla Biennale 2018 di Venezia, dalla relativa confusione – di per sé già elemento architettonico – tra qualità contemporanea e storica dei materiali dell’interno dell’Arsenale, una della due sedi di Architettura con i Giardini, e i contenuti espositivi, a cura della coppia Yvonne Farrell e Shelley McNamara. Mattone e cemento, vetro e alluminio, plastiche e legno, soprattutto ammirevole, quest’ultimo, nelle volte dei padiglioni dell’Arsenale, confliggono e si integrano come i molti progetti urbanistici, sociali, di interni, volti tutti ad esplorare, unitamente ad altre tematiche, quell’idea unificante di spazio libero, Freespace, che intitola la presente edizione della Biennale, e che allude esplicitamente a paesaggi interattivi che prospettano cambiamenti e relazioni complesse tra le persone e lo spazio.
Ora che a Lugano SUPS e USI stanno ultimando, in riva al Cassarate, un ampio spazio studentesco, il confronto con modelli internazionali appare stimolante, e inizia da subito. Siamo in India, e alcuni progettisti di Mumbai hanno pensato a due edifici scolastici in una zona semideserta, facendo un accorto uso, esteticamente efficace, di materiali naturali come il bambù, che riveste gli edifici stessi lasciando permeare i raggi solari, e le strutture portanti. Siamo quindi in Europa, negli Stati Uniti, o in Asia, e il legno appare elemento vincente di plastici, sezioni di progetti e arredi di edifici universitari e didattici, mentre il vero inizio della mostra all’Arsenale è suggestivamente demandato a un gioco di immagini riflesse da proiettori posti sottotetto che ricreano porzioni di navi rinascimentali, stive, alberi, in perfetto stile Serenissimaa Repubblica veneziana. Mentre campeggia Rolex come principale sponsor, una giuria formata dagli archi Frank Barkow, Sofia von Ellrichshausen, Kate Goodwin, Patricia Petkau e Pier Paolo Tamburelli ha assegnato il Leone d’oro alla carriera a Kenneth Frampton, inglese divenuto particolarmente apprezzato per l’attività poliedrica di progettista, storico e saggista, culminata, in ambito editoriale, nel lodato volume “Towards a critical regionalism”, che ha saputo rivalutare i contesti e le culture di singoli luoghi. Tra Arsenale e Giardini, c’è forse da preferire la prima sede, i secondi essendo animati nei vari padiglioni internazionali, da installazioni più vicine all’arte concettuale e al design che all’architettura di edifici e città. Campeggiano, sullo sfondo del primo padiglione dell’Arsenale, finte colonne greche, quasi un’illusione di templi che si mescolano suggestivamente alle illusione e realtà del contemporaneo, sempre più globale.
Luca Cerchiari