La prima notte del giudizio
Regia di Gerard McMurray. Un film con Marisa Tomei, Lauren Velez, Melonie Diaz, Mo McRae, Chyna Layne, Y’lan Noel. Genere Azione – USA, 2018, durata 97 minuti.
Il cinema a stelle e strisce, si sa, è sempre restio ad abbandonare marchi di grande successo, siano essi film hollywoodiani ad alto budget, o piccoli fenomeni indipendenti. È quello che è capitato al ciclo La Notte del Giudizio, prodotto da una realtà in grande ascesa nell’horror a basso costo: la Blumhouse Productions, a cui si deve, tra gli altri, il candidato all’Oscar Scappa – Get Out, inquietante parabola sul razzismo nell’America di oggi. La saga nei suoi vari episodi ha cambiato pelle più volte, passando dal thriller claustrofobico, al filone apocalittico fino a questa nuova, ultima evoluzione, “politicamente impegnata”.
La prima notte del giudizio, come suggerisce il titolo italiano, è un prequel sull’origine dello Sfogo, ovvero una notte in cui ogni reato è lecito. A crearlo è infatti il partito dei nuovi Padri Fondatori d’America (NFFA) che, in seguito a una grave crisi economica, intende testare una teoria sociale secondo la quale è sufficiente una notte di sfogo dell’aggressività in una comunità isolata per ridurre la criminalità nel resto dell’anno. In questo capitolo, il luogo prescelto è Staten Island, mentre le cavie da laboratorio sono gli emarginati della metropoli: poveri, piccoli spacciatori, prostitute. Ma quando la violenza degli oppressori incontrerà la loro rabbia, il “contagio” finirà per diffondersi in tutto il resto della nazione.
Il vero punto di svolta di questo capitolo risiede nella scelta del punto di vista, che passa dalla middle class bianca a un’umanità perlopiù afroamericana, che vive una condizione di disagio economico e sociale, e su cui lo Stato vorrebbe “risparmiare”. La quadrilogia, stilisticamente ispirata a maestri del cinema di genere come John Carpenter e George A. Romero, esplicita qui tutta la sua propensione alla satira politica, come annuncia il gadget del film, che rievoca il cappellino rosso già indossato da Trump (il presidente è peraltro evocato anche da una battuta del film, che forse si perderà con il doppiaggio).
Nonostante diverse incoerenze narrative, a partire dalla goffa scomparsa dei personaggi più spaventosi e dunque più riusciti del film – vedi alla voce Skeletor -, La prima notte del giudizio convince laddove prova a ribaltare le regole del gioco, in un genere che da sempre si nutre di schematismo e semplificazioni. E non ci riferiamo solo all’eroina post #MeToo Lex Scott Davis, quanto a Y’lan Noel, lo spacciatore che si metterà alla prova cercando di salvare la propria comunità. Una piccola storia di seconde possibilità che contrasta con il grigiore apocalittico del mondo raccontato.
CONSIGLIATO A: i cultori e gli appassionati del cinema di serie B, che ritroveranno almeno in parte l’ingenuità degli horror casalinghi.
SCONSIGLIATO A: chi crede che viviamo nel migliore dei mondi possibili.
Prendimi!
Regia di Jeff Tomsic. Un film con Ed Helms, Jake Johnson, Annabelle Wallis, Hannibal Buress, Isla Fisher. Genere Commedia – USA, 2018, durata 100 minuti.
In molti ricorderanno ancora con un filo di ansia il gioco “Ce l’hai”, detto anche “Tua” e, in inglese, “Tag”. Sottintesa, forse, la sfortuna, o qualche malattia mai citata, perché l’importante era semplicemente “passare” al proprio avversario non si sa bene cosa. Il gioco prendeva di volta in volta regole diverse, durando potenzialmente all’infinito, per riprendere nelle più imprevedibili circostanze.
Pensare di trarre da questo vissuto piuttosto comune addirittura un film poteva sembrare un’idea da folli. Invece, un articolo del New York Times ha dato il la a una commedia che riunisce alcuni dei volti più in voga del cinema mainstream contemporaneo, da Isla Fisher a Jeremy Renner, fino al “Mad Man” Jon Hamm. Raccontava la storia di nove adulti che perseverano nel loro gioco come dei ragazzini, a distanza di trent’anni. Scesi a 5 i protagonisti, gli sceneggiatori e il regista Jeff Tomsic hanno cercato di costruire uno script capace di reggere per almeno 90 minuti. E così veniamo introdotti nelle esistenze tra loro diversissime di Bob, Jerry, Randy e Sable, che ogni maggio si cercano nei luoghi più disparati del mondo per continuare a inseguirsi con ogni mezzo e infine “prendersi”. Uno di loro, Jerry, guru del fitness, in trent’anni non è mai stato “preso”, e gli amici sono disposti a tutto pur di infrangere il suo primato.
Inevitabile convertire lo spunto in un film totalmente pregno di nostalgia, un amarcord sugli anni Novanta, il decennio in cui i protagonisti erano adolescenti, nutrito anzitutto da una colonna sonora vintage, tra classici hip hop e hit come Mmm Mmm Mmm dei Crash Test Dummies. E su un’epoca in cui, forse, poteva ancora apparire lecito fare un film su un gioco da cui le “femmine” sono dichiaratamente escluse. Ma non sarà certo questo aspetto a disturbare lo spettatore di oggi, quanto i mille tentativi di satira graffiante oltre i limiti del politicamente corretto. Annacquare il dramma di un tumore o di un aborto spontaneo nei frizzi e lazzi di una banda di Peter Pan, disposta a mentire su qualunque cosa pur di “prendere” il proprio avversario, rende Prendimi! un gioco di cattivo gusto. E piuttosto noioso, come tutti i giochi che durano troppo a lungo.
CONSIGLIATO A: i nostalgici degli anni Novanta, che potranno fare un tuffo nel decennio, soprattutto grazie alle chicche musicali citate dal film.
SCONSIGLIATO A: chi cerca una commedia nostalgica di qualità.
Francesca Monti