Non apprezzare mai le cose che abbiamo finché non le perdiamo è una constatazione tanto evidente quanto scontata per chi le cose, quando ci sono, le apprezza, ne comprende la portata, e le vive intensamente. E quando non ci sono più ne sa riconoscere il valore, l’importanza e l’attrattività perché la cosa persa lascia un vuoto dietro di sé. Quel vuoto che si sente profondamente proprio perché Locarno Film Festival è una grande risorsa e un appuntamento culturale dalle innumerevoli conferme, per un intero paese. Perciò mi mancherà il mio tredicesimo accredito al festival, perché l’ipnotismo della settima arte sul mio stato psico fisico è tra quelle bellezze e arricchimenti a cui non voglio rinunciare, insieme alla lettura, alle arti visive e all’arte in generale. Il festival quest’anno, costretto a riformulare un’edizione ridotta, si è prodigato per mantenere viva la fiamma della manifestazione, che non è solo cinematografica ma è anche un polo di eventi diversificati, che gravitano attorno al cinema, senza per questo circoscrivere le scelte artistiche all’interno di un circuito destinato ai soli intenditori. Locarno Film Festival è un insieme di fattori, e di stimoli qualitativamente riconosciuti in ambito cinematografico ma anche e soprattutto dal profilo dell’immagine, oggi più che mai consolidata a vari livelli. Il suo carattere e la sua personalità sono multifattoriali perché esso cresce su un terreno sempre più fertile, la cui consistenza artistica lo ha reso solido, generando una concatenazione di iniziative, di cui sono in molti a beneficiarne, a iniziare dal turismo. Mi mancheranno l’energia delle proiezioni, la magia degli incontri, il brulicante richiamo della gente, (anche solo dei curiosi), il possente fascino del grande schermo, lo sguardo dei cineasti, il clima di piacere e condivisione che emana. Il virus ci ha tolto la versione integrale del festival, lo ha piegato ma non spezzato, costringendolo ad abbassare i toni, per evitare la diffusione del contagio. Ma non potrà mettere il bavaglio, e la mascherina, all’arte e a tutte le sue espressioni perché la creatività, insieme alle idee, e al loro prezioso valore immateriale non potranno mai essere imprigionati proprio per la loro potenza costruttiva e il loro significato. E per distanziarmi da chi il festival lo vorrebbe morto preferisco un festival vivo e vegeto, anche se indebolito, piuttosto che dover vivere con una pandemia, che ha deciso per noi cosa fare della nostra vita e del nostro festival.
Nicoletta Barazzoni