I viaggi di Manuela

Incidenti di percorso

“Ci sono dei treni non puntuali che non sanno abituarsi ad attenersi ai loro ritardi.” (Karl Kraus)

 

Come viaggiate, qual è il vostro mezzo di trasporto preferito? Personalmente detesto gli spostamenti veloci sulle ruote, l’on the road non fa per me, il traffico, l’autostrada li trovo stressanti, il pullman mi fa orrore, poche possibilità di muoversi e non riesco a leggere, forse psicologico retaggio di un’infanzia di nausee automobilistiche, per non parlare dello squallore delle aree di sosta.

Via mare certo, ma una crociera neanche se me la regalassero con quei bestioni affollati, i galà e gli intrattenimenti gallinacei… La barca a vela, naturalmente, è tutta un’altra cosa, ne ho fatta una scorpacciata ma ricordo anche travagliate convivenze di gruppo e non è che si possa fare molto: o ci si butta in acqua per raggiungere la riva a nuoto o si cerca di approdare almeno al primo attracco civile.

Negli aeroporti mi sento un pacco postale spedito alla cieca da una parte all’altra del Mondo, del resto, troppa confusione, burocrazia, troppo di tutto. E con l’aereo non ho avuto felici trascorsi. Il battesimo dell’aria si trasformò in un atterraggio di fortuna. Nizza-Londra con un Caravelle bimotore dell’Air France e, ricordo bene, tutti habitué con il naso affondato in riviste o scartafacci di lavoro. All’improvviso, la bambina curiosa che ero, voce squillante e braccia indicanti: “mamma, perché il cielo da una parte è azzurro e dall’altro finestrino è grigio?”. Per la verità c’era anche del fumo. Tutti alzarono la testa e fu un attimo per seminare il panico. Allora non si usava informare i passeggeri e, senza dire nulla, con un motore che aveva preso fuoco, il pilota stava già per affrontare la manovra di atterraggio su Parigi. Le hostess ebbero un bel po’ da fare per riportare la calma. Ma i viaggiatori si accorsero del vero rischio quando all’arrivo trovarono ad accoglierli uno spiegamento di pompieri e ambulanze… Un giorno un pilota mi disse: “sei una testimonianza che agli incidenti aerei si può sopravvivere”. Evviva!

Il mio mezzo preferito resta dunque il treno, che restituisce il ritmo e il panorama fisici dell’attraversamento geografico e che a volte assume l’aspetto di una vera casa viaggiante. Per me rappresenta ancora oggi l’autentica porta dell’avventura, anche se Gianluca Niero nel suo Prologo della Transiberiana scrive: “Ho passato anni a domandarmi perché sono così attratto dai treni e dai binari. Recentemente credo di averlo capito. È LA RAZIONALITÀ, niente sorprese, si sa su che via ci si trova, il treno non può lasciare i binari… a parte i deragliamenti… non può cambiare improvvisamente direzione…” (v. Un uomo in partenza – Memorie di un accompagnatore turistico, Linea Edizioni, Padova). Niente sorprese? Quando lessi questo pensai che dovesse essere particolarmente fortunato.

Viaggiando molto in treno dai tempi dell’università, a me è capitato proprio di tutto, a parte appunto il deragliamento o l’attentato: locomotiva in panne, elettricità interrotta, vagone incendiato (non il mio), rotaie ghiacciate, sciopero selvaggio, frane, neve, suicidio… Decine di motivi per non riuscire a raggiungere la meta se non dopo peripezie infinite. Il peggio è lo stop in galleria, al buio, quando non si può neanche passare il tempo a leggere, in uno scompartimento magari rovente d’estate o gelido d’inverno. E non si contano naturalmente i ritardi, le coincidenze perse, i treni sbagliati per fretta o distrazione.

Non sarò la viaggiatrice più sfortunata del mondo (questo record appartiene ad altri), ma un viaggio normale, in cui non succede nessun intoppo, raramente mi capita di farlo ed eventuali accompagnatori iniziano a guardarmi con un certo sospetto. Però queste disavventure e queste modalità di muoversi mi permettono sempre di scoprire la gentilezza, la disponibilità del prossimo che, il cinismo corrente, dà ormai come perdute.

L’anno scorso ero partita per raggiungere degli amici a Dublino e volevo andarci via terra e via mare, perché così è più bello! Fino a Parigi tutto regolare. Poi il metrò per cambiare stazione e quando vedo l’interminabile fila davanti alla cassa dei biglietti e degli automatici, inizio a preoccuparmi, non posso perdere il treno per Cherbourg, la nave non è un autobus, l’avevo prenotata da tempo e non c’era tutti i giorni, mi lamento un po’ in francese e una signora più avanti nella coda deve avermi ascoltata, perché dopo aver acquistato i biglietti, me ne porge uno e mi chiede se mi basta, non vuole soldi… Ci rintronano sull’indifferenza dell’umanità al punto che poi questi gesti ti sorprendono. Ma non è finita, perché alla St. Lazare non vedo indicato il mio treno sul quadro, alla fine lo trovo abbandonato su un binario. Fermo! Per un’ora dicono, problemi tecnici… Sono l’unica nervosa di una folla di pendolari abituati a questi incidenti di percorso. Mentre telefono al terminal per spiegare la situazione (non era tanto una questione di orario di partenza ma di check in), una signora che ha internet mi dice che s’informerà per me sui taxi all’arrivo. Finalmente si parte, ma l’odissea non è conclusa, perché uscita dalla stazione di Cherbourg trovo un’altra lunghissima coda in attesa di taxi che non ci sono… Venerdì sera e in più ritardi ferroviari… Inizio a pensare come trascorrere il tempo in questa cittadina dove non ero mai stata e che mi evoca solo un vecchio film musicale con una giovanissima Catherine Deneuve, Les parapluies de Cherbourg, forse c’è anche un museo degli ombrelli… Poi mi viene in mente un’azione che da anni e anni non facevo più: vicino c’è un posteggio, vedo un uomo con un bambino in auto, mi dà fiducia, nonostante le serie americane ci raccontino continuamente di serial killer che usano i bambini come esca… Chiedo se mi accompagnerebbe al porto, sono pochi minuti, mi risponde che non va in quella direzione, quando delusa mi sto già allontanando, sento il bambino dire qualcosa al padre che allora mi richiama… Gli avrà detto di darmi un passaggio… Bimbi, ultimi idealisti? Al terminal, deserto, aspettano solo me, come in un film, a tutta velocità mi fanno fare le pratiche, controllano la valigia e mi caricano sulla navetta… Inizio a respirare normalmente solo quando mi trovo sulla nave che sta per lasciare il porto…

Un’immagine da Les parapluies de Cherbourg (1964) di Jacques Demy.

Una situazione simile l’ho vissuta anche al ritorno da Malta, lo scorso aprile, sempre stessa idea fissa: via mare e via terra! Sul catamarano non trovo posto pur avendo prenotato settimane prima (parte di sabato alle 5 di mattina, poi mi spiegheranno la stranezza di quell’ora: i maltesi vanno ai mercati siciliani), ripiego su un’alternativa: due ore di ritardo e la bellezza di dieci ore in tutto (invece di un’ora e mezza), nello squallore assoluto di una nave che fa affari con i trasportatori e non i viaggiatori; siamo una decina di disperati, in una sala che dire vintage è fare il massimo dei complimenti, un self-service che apre a mezzogiorno in punto, chiude alla mezza e fino all’arrivo neanche un bicchiere d’acqua, in più la televisione sul pomeriggio di Canale 5… Ma la gente prende confidenza e, come ai vecchi tempi degli scompartimenti a sei posti, si racconta i propri malanni, fisici o esistenziali, lavoro, malattie, rapporti coniugali, senza remore, a sconosciuti che probabilmente non rivedrà mai più. Fa un freddo cane, in una ventosa primavera e fuori, a contemplare il mare, si resiste poco…

La destinazione è Catania, qui avevo prenotato una nave per Napoli, ma nel frattempo la compagnia era fallita. L’alternativa che mi è stata offerta: Messina-Salerno, partenza alle 2 di notte… Due di notte al porto di Messina? Non ne sarei uscita viva… Opto per un’altra compagnia, Catania-Salerno, ore 21.30, ma non sono riuscita a prenotare, arrivo e sono le 21 passate, gli uffici chiusi, è buio. Mi rivolgo alla polizia portuale, telefonano, arrivano con un pullmino, mi portano al botteghino del biglietto: “abbiamo solo cinque minuti”…  E poi via verso la nave, il tempo di metterci i piedi e sento che stanno chiudendo, parte, respiro… Una signora nave, con tutto in tre lingue: italiano, inglese e… russo (fa rotte per San Pietroburgo). Dalle stalle alle stelle: bar, ristoranti, casinò, negozi e una cabina con bagno tutta per me. Arrivo a Salerno e devo fare solo il biglietto per Napoli, così non perdo quello che possiedo già, Napoli-Milano. Due giorni per tornare a casa, elettrizzata, sì, anche dai contrattempi…

Parto in treno da Lugano per prendere un aereo a Linate? Ci blocchiamo prima di Mendrisio, perché un’auto è messa di traverso sulle rotaie. Per fortuna che quando devo prendere un aereo mi metto in viaggio con ore di anticipo. Salvo poi scoprire che è il volo ad avere ore di ritardo, come quello del ritorno da Edimburgo, per lo sciopero dei controllori di volo.

Tornavamo da Fort William (ve lo racconterò il viaggio sul viadotto di Harry Potter) e arrivati a Glasgow scopriamo che i treni per Edimburgo sono stati cancellati, per un non meglio individuato ostacolo sui binari. Alla fine si parte, ma si scende a Linlithgow, poi tutti in pullman, un viaggio di 50 minuti, dura un’ora e mezza, quanto ci vuole per entrare nella capitale scozzese una domenica sera…

Con tutti questi precedenti mi converrà dormire a Parigi e prendere l’Orient Express il giorno dopo e non tentare di raggiungerlo in giornata, anche se sulla carta il tempo l’avrei partendo la mattina da Lugano e, nel frattempo, mi sono rifornita di un libretto di biglietti del metrò. Ma se il treno per la capitale francese avesse un intoppo?  Probabile, quando sopra ci sono io!

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