Molti italiani vivono al di sopra dei propri mezzi da anni. «L’Italia del XXI secolo è una società signorile di massa che rifiuta di prendere coscienza di sé, forse anche perché, se lo facesse, i suoi cittadini nativi non potrebbero più raccontarsi come vittime, e dovrebbero semmai riconoscere le ombre del benessere.» Il sociologo Luca Ricolfi non fa sconti al Belpaese e al vittimismo di massa che affligge una parte della popolazione. Quella che ha sempre bisogno di alimentare l’idea dell’esistenza di uno spauracchio, di una matrigna cattiva, di un agente del male, che li rapini, li impoverisca e li sfrutti. L’autore de La società signorile di massa illustra tre condizioni che definiscono dell’omonimo concetto: «1) il numero di cittadini che non lavorano ha superato il numero dei cittadini che lavorano; 2) la condizione signorile, ovvero l’accesso a consumi opulenti da parte dei cittadini che non lavorano è diventata di massa; 3) il sovraprodotto ha cessato di crescere, ovvero l’economia è entrata in un regime di stagnazione o di decrescita.»
Al netto del Covid-19 e dei disastri economici che ha creato, crea e creerà – il libro di Ricolfi è antecedente allo scoppio della pandemia – l’Italia era e resta una società molto affluente. In Europa, la prima condizione sopracitata di Ricolfi risulta solo in Italia, Grecia, Spagna e Lussemburgo. La seconda in Italia e in Grecia. La terza in Italia, Grecia e Giappone. Apparentemente, l’Italia sembrerebbe l’unica società signorile di massa tra i paesi avanzati secondo i tre criteri di Ricolfi. È dunque naturale chiedersi da dove vengano alcuni malcontenti che vanno oltre la realtà oggettiva di un paese che tutto sommato ha un’alta soglia di benessere, ma danza sempre sull’orlo della bancarotta. E la colpa non è “degli altri”. Nella società signorile di massa, spiega Ricolfi, convivono produttori e non-produttori. I primi mantengono i secondi; i secondi godono di rendite e redditi costruiti da altri (o tramite l’assistenzialismo, o tramite l’uso dell’eredità).
Paradossalmente, sia produttori che non-produttori si lamentano della loro condizione: i primi trovano intollerabile lo scrocco e il danno che cagionano i secondi; i secondi vorrebbero ancora più risorse dai primi. Molti italiani sono più ricchi individualmente, ma vittimisticamente sono in stato di perenne lamentela in merito alle proprie condizioni economico-sociali. Secondo la ricostruzione di Ricolfi, il reddito famigliare medio italiano è circa quarantaseimila Euro all’anno, mentre il patrimonio famigliare è poco sotto i quattrocentomila Euro. Complice anche il grande risparmio della società italiana, da metà anni Sessanta ai primi anni Novanta «la nostra ricchezza è cresciuta anche grazie a un’imponente espansione del debito pubblico, che ha permesso agli italiani […] di accrescere sia il proprio reddito disponibile […] sia il proprio patrimonio grazie ai ricchi dividendi dei titoli di stato emessi per finanziare l’aumento della spesa pubblica.»
Negli anni, l’incremento della spesa pubblica ha beneficiato milioni di italiani, creando una sorta di crescita artificiale, grazie alle iniezioni di moneta nel sistema da parte della classe politica per tentare di accaparrarsi il favore popolare; un giochino ridimensionato con l’arrivo della moneta unica e i vincoli europei. Non stupisce dunque che in milioni hanno cambiato il proprio stile di vita. Nella società signorile di massa, appunto, si vive da signori. E dei signori, si prendono le abitudini. In particolare, spiega Ricolfi, il gioco d’azzardo è aumentato molto negli strati sociali del paese: osservando la spesa complessiva dei consumi degli italiani, «su un totale di 800 miliardi, la spesa alimentare ne assorbe 142, il gioco d’azzardo 107. Ovvero: spendiamo, per il gioco, quasi quanto spendiamo per mangiare.» Una cifra enorme, assurda, che la dice lunga sulle abitudini di milioni di cittadini: nulla di male, ovviamente. Ognuno spenda come ritiene; tuttavia, vittimismi perpetui e continue richieste di mancette ad ogni tornata elettorale, andrebbero coerentemente evitati.
«Non la casa, ma la seconda casa, possibilmente al mare o in montagna. Non la bici o il pallone, sport popolari ed economici, ma le costose attrezzature da sub o da sci. Non le solite vacanze di agosto presso i parenti, ma weekend lunghi e ripetuti […] e, per le ferie […], pacchetti all-inclusive, per isole e paradisi più o meno esotici […] Non la scuola sotto casa per i figli, ma i corsi di lingue e judo, l’ora di sport, le lezioni private, gli infiniti scarrozzamenti dei pargoli fra un’attività e altra, in un turbine di baby-sitter, colf, pedagoghi domestici. Non i vecchi cibi di sempre […], ma il multiforme mondo dei cibi alternativi, macrobiotici, vegetariani, new age, vegani, biologici, esotici, entici, equi e solidali. Non la banale serata in pizzeria, ma i lunghi apericena preparatori di vagabondaggi notturni. Non il medico per le ordinarie malattie del corpo, ma lo sterminato esercito dei medici alternativi, o dell’anima: psicanalisti, psicoterapeuti, guide spirituali, guru, santoni, massaggiatori, osteopati, chiropratici, […] personal trainer.»
Di nuovo: si potrebbe replicare cosa ci sia di male in tutto ciò. Assolutamente nulla. Questa è la condizione di vita signorile di milioni di italiani. Molti dei quali non vogliono saperne di abbandonare un vittimismo di fondo che prevede l’individuazione dei colpevoli di una presunta miseria nell’Europa, nei “politici”, negli “immigrati” e quant’altro. Sarebbe coerente evitare di parlare di élite piuttosto che votare per movimenti populisti, se le condizioni di vita di molti sono queste. E non sono un’eccezione. Certamente, parliamo di intricate medie di Trilussa: alcuni hanno tanto, altri hanno poco, ma nel complesso, l’homo italicus sta molto meglio rispetto a molte sue controparti europee. Lo Stato italiano è indebitatissimo, le famiglie risparmiano e in milioni si sdraiano su lussi da società signorile, dalla dipendenza del gioco d’azzardo, a tutti i benefit post-moderni promossi dal mondo social.
«L’ingente massa di tempo libero regalata dall’aumento della produttività del lavoro non è stata usata per innalzare il livello culturale delle persone, la loro sensibilità artistica, la loro capacità di vivere in modo saggio, piacevole e salutare. Specie in Italia, dove anche i livelli di istruzione formale sono rimasti bassissimi, il maggiore tempo a disposizione è stato impiegato essenzialmente per ampliare lo spettro dei consumi.» D’altronde, il tempo libero è una risorsa da signori. Il vittimismo è dilagante nella società signorile di massa. Molti cittadini tradizionalmente decidono di piangere su se stessi e dare la colpa “agli altri” per le proprie sventure. Sarebbe anche il caso di guardarsi allo specchio e chiedersi se si ha contribuito o meno a creare una società signorile di massa. E se davvero si è così indigenti rispetto a quanto si voglia far credere.
Amedeo Gasparini