Il 17 giugno scorso, prendendo la parola all’inaugurazione di Gambarogno Arte 2018 a Vira, Edgardo Ratti aveva pubblicamente sottolineato l’importanza del ciclo di esposizioni internazionali di scultura, giunto alla tredicesima edizione. Il suo era stato un intervento volto soprattutto a ringraziare i collaboratori, i tanti che in questi cinquant’anni hanno reso possibile il ripetersi periodico della cosiddetta G, ossia la mostra di scultura che, pur tra alti a bassi, ha portato e fatto conoscere in Ticino alcuni dei più rappresentativi scultori svizzeroitaliani, svizzeri e internazionali, riuscendo sempre a far conoscere dalla prospettiva storica e culturale la “riviera” del Gambarogno. Ossia quella striscia di territorio tra lago e montagna, strada e ferrovia, che defluisce verso l’Italia. La G era il fiore che ha coltivato fino all’ultimo, anche se dal 2000, con la nascita di Gambarogno Arte, si era un poco defilato dall’organizzazione, pur senza far mancare indicazioni e consigli.
Questa mostra dall’insigne passato, che si spera possa avere anche un futuro, è anch’essa figlia di quello che a me pare un colpo collettivo di genio. Edgardo Ratti era infatti tra i cinque giovanotti che, nel 1953, fondarono al Bar Sargenti il Circolo di cultura del Gambarogno. Gli altri erano Manfredo Patocchi, primo presidente, Walter Sargenti, Elzio Pelloni e Franco Gilardi. Cinque giovanotti al bar, canterebbe Gino Paoli, con già le idee chiare. Poche settimane dopo, già nello statuto si indicava il principio di salvaguardia dell’identità e, come primi atti concreti, un atto assolutamente straordinario come la fondazione di una Biblioteca. Per prima cosa, come base di tutto il resto, fecero nascere biblioteca a Vira per il Gambarogno. Io penso che aprire una biblioteca al pubblico sia un atto che vale una vita, tanto che da lì nacque il succedersi di serate culturali, incontri e dibattiti che coinvolgevano tutti i villaggi del litorale gambarognese. Mentre prendeva sostanza il suo impegno sul fronte dell’arte – tanto sul piano della pittura che della scultura e dell’incisione – per il quale oggi è conosciuto, Edgardo Ratti ha continuato ed anzi intensificato l’attività nell’organizzazione culturale, sviluppando un’attenzione pionieristica al rispetto e alla valorizzazione dell’ambiente. Ha insistito su temi civici, assolutamente ostici e controcorrente, quali il recupero pubblico e la protezione delle rive del lago e delle Bolle di Magadino, la gestione del traffico stradale e ferroviario lungo il Gambarogno, la difesa e valorizzazione dei villaggi di montagna come Indemini.
Nato ad Agno nel 1925, Edgardo Ratti dal 1939 per quattro anni ha frequentato il Tecnicum di Friborgo e poi, dal 1947 al ’51, l’Accademia di Belle arti di Brera a Milano, allievo di Italo Valenti, Achille Funi e Aldo Carpi. La sua prima mostra personale è del 1951 nella sala patriziale di Bellinzona, presentata dal prof. Augusto Tarabori, scrittore e segretario dell’allora Dipartimento dell’educazione. Sono seguite innumerevoli altre, culminate tre anni fa, per i suoi novant’anni, nel trittico espositivo tra Villa dei Cedri a Bellinzona, la Sopracenerina a Locarno e la Sala del torchio a Balerna. Nel frattempo, in parallelo e sempre con il Circolo di cultura, ha continuato lungo la strada della promozione culturale, contribuendo a creare una serie di eventi secondo il principio del coinvolgimento del pubblico. È del 1960 il Premio di pittura Gambarogno-Lago Maggiore (primo premio a Bruno Nizzola). Due anni dopo ecco il Premio di poesia, assegnato all’ancora sconosciuta Alda Merini per la raccolta Tu sei Pietro. Una rivelazione. Nel 1963 è tra gli iniziatori del Festival di musica organistica a Magadino; nel 1966 ecco il Premio di fotografia con la partecipazione di fotografi di 12 Paesi e, finalmente, in pieno Sessantotto, prende forma il Premio internazionale di scultura all’aperto, che quest’anno festeggia i cinquant’anni con la mostra intitolata Testimonianze tra vie, piazzette e il sagrato di Vira Gambarogno.
In questo lungo percorso Ratti ha mantenuto due riferimenti essenziali. Da una parte ha sempre coinvolto le istituzioni e la popolazione locale, contribuendo così in misura decisiva a difendere e valorizzare le testimonianze storiche dei villaggi, anche con interventi diretti come la Scuola dell’affresco, prima a Vira e poi a San’Abbondio. Dall’altra ha insistito sul superamento culturale delle frontiere, ampliando le varie iniziative sul piano svizzero e internazionale. Già all’esordio nel ’68 il primo premio è attribuito ad un ancora poco noto Bernhard Luginbühl, che diverrà uno dei protagonisti della scultura del ‘900 (secondo premio a Metzler, terzo a Rouiller). Indimenticabile l’edizione del 2003 gestita Harald Szeemann, reduce dalle Biennali di Venezia, portando nel Gambarogno e nel Locarnese alcuni dei maggiori artisti internazionali.
Ma se la mostra internazionale di scultura all’aperto rimane il vertice dell’attività di promotore culturale di Edgardo Ratti, fondamentale è stato l’amore per il paese, per la storia e le tradizioni. Per il recupero, la valorizzazione e l’aggiornamento di un passato che ha contribuito in maniera decisiva a far conoscere. Talvolta magari con un agire burbero, ma sempre con assoluta lucidità. Guardando a ritroso agli oltre settant’anni d’impegno artistico e ai 65 di organizzatore culturale, soleva ripetere: “è stata un’esperienza fantastica”. Scrollava la sua testa leonina come a dire che si poteva forse far di meglio, che cotanto impegno andava sostenuto con più forza, ma in fondo era orgoglioso di quanto fatto. Sia come artista che, forse ancora più, per la capacità di risvegliare le coscienze anche politiche su temi fondamentali come la salvaguardia del territorio e della sua storia. Gli rimaneva sul gozzo il rammarico di vedere tanti tratti di rive dei laghi tolte all’uso pubblico e, in generale, di notare come, sempre più spesso, nei bilanci prevalga quello finanziario. Rimane l’importante eredità che lascia al Gambarogno, al Ticino, al concetto di Svizzera Italiana e alla sua idea di futuro originata dallo studio e dal recupero del passato.
Dalmazio Ambrosioni