«L’unica cosa necessaria perché il male trionfi è che gli uomini buoni non facciano nulla»: Winston Churchill aveva capito benissimo la lezione del padre dei conservatori britannici, Edmund Burke e agì di conseguenza. Resistere e resistere al male è quello che fece assieme ai britannici negli anni in cui fu Primo Ministro dell’ultimo paese libero dell’Europa occidentale. È proprio nell’“ora più buia” che Churchill entrò nel Pantheon dei più straordinari uomini politici di tutti i tempi. Secondo Charles Krauthammer (The Washington Post, 31 dicembre 1999) Churchill era l’indispensable man, senza il quale oggi il mondo sarebbe un posto più buio. Lo stesso discorso non varrebbe per figure come Albert Einstein, che se non fosse vissuto, sostiene Krauthammer, il mondo avrebbe visto le sue idee emergere in seguito, anche senza di lui.
Togliendo “l’elemento Churchill” nel 1940, Adolf Hitler avrebbe raggiunto quello che neppure Napoleone Bonaparte riuscì a conquistare: il controllo totale sull’Europa. Churchill ha rappresentato la responsabilità nel momento del bisogno: promise lacrime e sangue. Tra Stati Uniti e Unione Sovietica, il Primo Ministro si ritagliò un terzo spazio nel nuovo ordine mondiale post-bellico, ma secondo Fareed Zakaria (The Post-American World) la fotografia a Yalta nel febbraio 1945 con Franklin Delano Roosevelt e Stalin è fuorviante. «Non c’erano i “tre grandi” a Yalta», scrive Zakaria. «C’erano i “due grandi” più un brillante imprenditore politico che era in grado di mantenere nel gioco se stesso e il suo paese». Ad ogni modo, Churchill c’era e fece guadagnare un seggio permanente al Regno Unito nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Allo scadere del mandato elettorale, Churchill avrebbe voluto un altro governo di coalizione, ma il 21 maggio 1945 Clement Attlee rifiutò. Si dimise il 23 maggio. FDR e Hitler erano morti e solo in seguito Churchill si sarebbe pentito di non essere andato negli Stati Uniti a incontrare Harry Truman. Durante la campagna elettorale di quella primavera, Churchill si mosse in treno. Nonostante gli esisti della guerra e il V-Day, il leader conservatore perse inaspettatamente le elezioni del 5 luglio 1945. Iniziò quindi per lui un periodo di lunga depressione. Fu difficile scendere dal piano della politica internazionale a quello delle beghe del Partito Conservatore e dei drammi sociali di un paese da ricostruire. Il fatto di aver perso le elezioni non impedì a Churchill di calcare la sua figura sui libri di Storia, specialmente in campagna elettorale. Idealmente, questa iniziò per lui con il discorso di Zurigo nel 1946.
«La struttura degli Stati Uniti d’Europa sarà tale da rendere meno importante la forza materiale di un singolo Stato», spiegò. «Le piccole nazioni conteranno tanto quanto le grandi e guadagneranno il loro onore con un contributo alla causa comune.» Le classi dirigenti d’Europa avevano grande rispetto per Churchill e lo invitavano a parlare negli atenei, anche in virtù della sua professione post-bellica: quella di scrittore, che gli valse il Nobel per la Letteratura nel 1953. Il suo resoconto dopo la guerra era composto da cinquemila pagine, rilegate in sei volumi; l’unico report bellico di un grande leader. Passato il purgatorio dell’opposizione, Churchill ottenne un’inattesa quanto brillante rivincita alle elezioni del 3 settembre 1951. I suoi discorsi erano più ascoltati di quelli del Primo Ministro. Churchill era un simbolo: aveva un carisma naturale, un forte potere di concentrazione; era un medal hunter.
Chi lo incontrava non lo scordava. Churchill amava dominare l’ambiente attorno a sé. Aveva un forte appetito per il lavoro, nonché il desiderio di capire gli altri. Anthony McCarten (Darkest hour) lo descrive come un «oratore titanico. Ubriaco. Spiritoso. Patriota. Imperialista. Visionario. Progettista di carri armati. Spadaccino. Aristocratico. Prigioniero. Eroe di guerra. Criminale di guerra. Conquistatore. Proprietario di cavalli da corsa. Soldato. Pittore. Politico. Giornalista.» Se però Churchill era considerato una garanzia per i britannici, la sua seconda premiership non fu gloriosa quanto la prima. La guerra era finita e Churchill stesso era invecchiato. Molti dicono che tornare a Downing Street fu il più grande errore della sua vita. Il secondo Governo Churchill durò fino all’aprile 1955: tagliò gli stipendi dei membri del governo e soppresse il monopolio della BBC.
Importanti le riforme nel campo della salute e dei minatori, edilizia e occupazione giovanile. La fine del razionamento bellico nel 1954 fu di rilievo, così come l’abbandono dell’uso della forza nelle colonie. Il tutto, però, andava a rilento. Churchill invecchiava e in molti tra i conservatori volevano che si dimettesse dopo l’incoronazione di Elisabetta II, nel giugno 1953. L’infarto dello stesso anno fu un segnale per il Partito Conservatore e per il leader. Si discusse a lungo su Anthony Eden come successore – con il suo Ministro degli Esteri, Churchill aveva rapporti altalenanti. Già dopo le elezioni del 1951, Eden voleva fargli le scarpe, ma i due restavano profondamente legati dal momento che avevano condiviso l’anti-appeasement nei confronti dei nazisti, nonché la parentela – la seconda moglie di Eden era una nipote di Churchill.
Scalzato Winston da Downing Street, Eden si dimise dopo l’umiliazione di Suez. Era l’inverno 1952-1953, quando problemi di salute legati ad un’operazione dell’appendicite nel 1948 si mischiarono ai sintomi di post-imperialismo britannico – cosa di cui si era occupato già Churchill. La questione coloniale era avvertita da Churchill come una sfida del nuovo Regno Unito – tra Kenya, Malesia, Egitto, Iran e Sudan – specialmente in relazione alla nuova Europa che aveva diviso la Germania ed era al centro della contesa tra Stati Uniti e Unione Sovietica. D’altronde, fu lui, lungimirante ed “indispensabile”, che per primo in Missouri parlò di una cortina di ferro scesa attraverso il continente, da Stettino nel Baltico a Trieste nell’Adriatico.
Amedeo Gasparini