Con la mostra “Armonie Verdi” il Museo del Paesaggio di Verbania conferma la scelta di indirizzo strettamente connesso al territorio, al luogo geografico, come era nelle intenzioni del fondatore Antonio Massari, fin dagli inizi del secolo scorso. Resa possibile dalla collaborazione tra il Museo e la Fondazione Cariplo, in poco più di 50 opere, attraverso l’interpretazione del paesaggio, testimonia i cambiamenti significativi del pensiero e della società tra il 1880 e il 1930: dalla registrazione impressionista del frammento si passa a privilegiare l’interiorizzazione del paesaggio, ponendo l’accento sulla percezione emozionale della realtà, che trova espressione nell’uso sempre più libero e personale della tecnica pittorica.
“Simile a un’apparizione” lo Studio di paesaggio fluviale,1872, di Daniele Ranzoni; più vicina al romanticismo del maestro Alexander Calame, la Cascata del Toce in Valle Formazza,1885-90, di Federico Ashton, il “pittore delle montagne”, ne accentua la verticalità e potenza di fenomeno naturale. Il fascino della montagna, che trova grande diffusione nella seconda metà dell’Ottocento, viene comunicato nei suoi aspetti contrastanti, terribili e lirici, da Carlo Cressini e Cesare Maggi, nelle opere in mostra del 1908; nel colore avvolgente e negli effetti di luce-ombra in quelle dei divisionisti Vittore Grubicy, del 1894, e Carlo Fornara, del 1921.
Richiami al Simbolismo troviamo in Anselmo Bucci, Il governo dei cavalli,1916, nel sole rosso del tramonto che si rispecchia nei soldati; nel colore lunare e nel silenzio dell’ora tarda ne Cimitero di Suna (Notturno), di Mario Tozzi, del 1915, lo stesso anno dell’entrata in guerra dell’Italia. In Armonie Verdi,1920, da cui il titolo della mostra, di Pietro Fragiacomo, che guarda a Klimt, si accentua l’interpretazione simbolista della natura, che nel silenzio assoluto evoca la musica nel vibrante andamento verticale dei pioppi e, trasversale, dell’incresparsi dell’acqua.
Con gli anni Venti in parallelo con la poetica del ritorno all’ordine e del “Novecento” di Margherita Sarfatti, si afferma il ritorno al cl
assicismo e alla semplificazione della forma. Ogni motivo ha una linea architettonica che informa tutto ben esemplifica Neve a Lignorelles,1923-24, di Mario Tozzi dove la patina bianca della neve è utilizzata per individuare le masse delle case; volumi squadrati spiccano contro il fondale di un cielo lattiginoso in Convento,1928, di Antonio Donghi.
Totalmente visionaria l’interpretazione di Sironi ne Il lago,1926, un’immagine costruita, solida, potente, nella forma, come una figura arcaica.
Per Arturo Tosi, che pure si riallaccia alla pittura di paesaggio da Fontanesi agli Scapigliati, ai divisionisti, “il paesaggio è una natura morta di cui Tosi dispone gli elementi nello spazio”, osserva Elena Pontiggia, curatrice della mostra. Nulla deve turbare l’essenzialità della visione, come in Fuori dallo Studio,1930.
Ma quell’ordine mentale è destinato a sgretolarsi nel decennio successivo. Temporale o Tempesta,1933, dal titolo significativo, di Filippo de Pisis, riassume nei toni di colore bruno grigio e nelle nuvole scure che incombono il senso di precarietà che minaccia l’esistenza; di segno opposto, quasi fiabesca, la pittura chiarista di Umberto Lilloni, Tramonto sul Mare,1934, in aperto contrasto con la retorica di regime, ormai trionfante nell’arte ufficiale di propaganda.
Claudia Mandelli
ARMONIE VERDI. Paesaggi dalla Scapigliatura al “Novecento”.
Verbania. Museo del Paesaggio, via Ruga 44
25.03.2018 – 30.09.2018