C’è sempre stato in qualche modo questo riferimento, ma Daniele Finzi Pasca lo ha voluto particolarmente esplicitare qui, la lettura che lo ha affascinato, impressionato da ragazzo, dell’Über das Marionettentheater. Per Heinrich von Kleist le marionette rappresentavano quell’universo di grazia dell’assoluto e di perfezione che l’uomo non poteva raggiungere. E il regista ci vuole trasportare in quel mondo, soprattutto con la rivelazione della seconda parte. La prima, di Nuda, infatti è molto occupata dalle parole, dal monologo pur sdoppiato e in seguito anche moltiplicato, diciamo non sempre efficace, a volte persino monotono che con difficoltà cattura l’attenzione, come hanno rilevato diversi commenti di spettatori. Un po’ per il rimbombo della sala del LAC, il vecchio problema dell’acustica, un po’ per la pronuncia non italofona, un po’ per l’interpretazione monocorde. Due gemelle, una che racconta, l’altra evocata nel suo essere nata già santa, ingombrante fin dal primo momento, venuta alla luce con rivestita da una tunica bianca, con la proverbiale “camicia” diremmo, della fortunata, apparentemente, anche se il piedistallo si trasforma in sacrificio.
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