“… quando si è donna una volta diventata vecchia tanto vale che ti buttino nel bidone della spazzatura…” (dal capitolo Penelope, “Il letto” dell’Ulisse di James Joyce, traduzione di Giulio De Angelis)
È l’una, Bloom ha fame e per la verità abbiamo fame anche noi… Attraversiamo il ponte e raggiungiamo il Davy’s Byrne Pub (21 Duke Street), dove il 16 giugno servono lo stesso spuntino di Mr. Bloom: un panino al gorgonzola e un bicchiere di Borgogna. Alle due del pomeriggio ci troviamo alla National Librery, con la splendida visione di banchi, lampade originali, location ideale per rivivere la disputa letteraria-filosofica di Stephens: nel frattempo arriva Mister Bloom che vuole consultare una vecchiata annata… I destini convergono per la prima volta nel romanzo.
Dalle 3 alle 4 i personaggi già noti del libro si trovano tutti per le strade di Dublino, naturalmente in un’apoteosi di simultaneità. Mi viene in mente che questo Ulisse è stato anche realizzato con pupazzetti in un filmato della durata di 18 minuti. Perché a questo punto si ha voglia di prendere un plastico, come quelli ferroviari, che riproduca la Dublino dell’epoca e i suoi abitanti, per visualizzare meglio le minuziose strategie topografiche di Joyce.
Ma noi continuiamo a seguire le orme di Bloom che, bighellonando per Nassau Street e Grafton Street (ancora oggi isola pedonale allegra in grado di allettare tutti i sensi) ci porta verso Temple Bar, il cuore giovane della Dublino odierna, che rasenta il Trinity College, la prestigiosa università dove studiò anche Joyce. Se si vuole respirare aria vintage, ci si può fermare all’Avoca, con i suoi tessuti, nastri, carte da parati liberty, un gioiello per chi ama il genere… Con Joyce non c’entra, ma se volete togliervi la soddisfazione di un autentico cappuccino all’italiana con tanto di disegnino sulla schiuma, recatevi al caffè dell’ultimo piano…
Alle quattro del pomeriggio Bloom è in Wellington Quay. Il capitolo Sirene è ambientato nell’Ormond Hotel: la holding che l’ha acquisito aveva presentato un piano per demolirlo e ricostruirlo ma la giunta comunale l’ha proibito. Risultato: non c’è più il vecchio albergo e non c’è ancora quello nuovo. Joyce diceva che Dublino è il paradigma della paralisi. Qui Bloom ha fatto un altro spuntino a base di fegato e pancetta.
A noi non resta che proseguire. Leopold alle cinque, nel capitolo linguisticamente complesso, incentrato sulla politica e il nazionalismo, si reca in un bar-trattoria vicino al tribunale, il pub di Barney Kiernan che oggi è una serranda chiusa, anonima. Ci consoliamo in un pub storico dove possiamo gustare una Guinness, Mulligan’s.
Alla sera, la scena si sposta di nuovo sulla spiaggia di Sandymount, anche se il punto esatto non esiste più, ma il mare è sempre quello, dopo tutto.
Ed ecco The National Maternity Hospital, in Holles Street, siamo ancora in pieno c’entro, naturalmente non entriamo, ma qualche pagina si può ancora leggere…
Il quartiere dei bordelli, scenario del capitolo Circe, non è più riconoscibile: chiusi i casini, rinominate le strade (una è diventata James Joyce Street), lasciati nel degrado gli edifici, a mezzanotte la serata continua tra letture e musica, nella zona dei docks.
Si percorre Amiens Street, si prosegue lungo il fiume con Bloom e Stephen, che per tutto il libro si sono appena sfiorati, e adesso s’incontrano, anche se la voglia di paternità dell’uomo più anziano non potrà mai essere esaudita. Ci si ferma ancora a bere in un locale.
E finalmente di nuovo, a notte fonda a Ecles Street, in pochi superstiti, ad ascoltare il superlativo monologo di Molly che chiude il libro. Come sembra lontana la mattina e chi può dire che non sia stato un giorno vissuto intensamente?
Fine
Manuela Camponovo