Prendo una valigia leggera e salgo sul treno, carrozza meraviglia, lato finestrino, vicino all’imprevedibile.
(Fabrizio Caramagna)
Giovedì – Il viaggio
Alla Centrale di Milano mi avevano detto: non si può andare in Spagna con il treno, anzi, dopo che vari impiegati si erano consultati davanti al computer, come medici al capezzale di un ammalato grave, ecco il verdetto: non le possiamo fare il biglietto. Se proprio non vuole andarci in aereo, può raggiungere il paese via autobus o via nave…
Per fortuna che alla stazione di Lugano non la pensavano così. Ed eccomi in carrozza. Dato che effettivamente non esistono più treni notturni, all’andata farò tappa a Lione e al ritorno, itinerario che mi è molto più famigliare, a Marsiglia, attraversando Provenza e Costa Azzurra e, poi, Liguria e Lombardia, per rientrare. E non datemi della pazza, il mondo è vario e ognuno ha diritto ai suoi gusti.
Già mi fa strano che per andare a sud debba trovarmi tra le nevi del San Gottardo. Cambio a Lucerna e a Ginevra, dove dovrebbe esserci la frontiera, ma i doganieri sfaccendati mi danno appena un’occhiata e certo non ho un’aria minacciosa, anche se, penso, le persone dall’apparenza innocua, di solito, sono proprio le più pericolose, non che voglia essere perquisita, ma il mio spirito avventuriero non ama la banalità.
È pomeriggio inoltrato e scendo a Lione dove fa quasi buio e molto freddo. Non ho prenotato, in mie precedenti scorribande in questa culla della gastronomia francese ho sempre privilegiato alberghi d’atmosfera, magari boutique nel cuore storico della città. Ma adesso desidero essere nei pressi della stazione, dato che il giorno dopo devo ripartire, non ho molto tempo e con questo gelo neanche mi vien voglia di fare qualche visita turistica. Come spesso succede ai luoghi di transito che, per usura o necessità di riammodernamento, subiscono sempre delle trasformazioni, anche qui è un circuito di lavori in corso, di passaggi ad ostacoli. Mi guardo attorno e naturalmente non mi sfugge l’enorme sagoma della torre cilindrica sormontata da una piramide a punta, il Radisson Blu, detto il “Matitone” per ovvie ragioni. Mi sembra il luogo più appetibile, anche se la sua posizione non è delle più felici, soprattutto se si arriva a piedi, pochi minuti dalla stazione, ma si rischia la vita. Me ne aveva parlato il mio amico accompagnatore turistico che soffre di vertigini e non amava certo un albergo il cui banco di ricevimento si trova al 32° piano. Dal 33° infatti iniziano le camere per gli ospiti. Io non soffro di vertigini e sono ben felice di avere una stanza all’ultimo piano, il 38°, perché alzando la testa nel corridoio posso vedere le intelaiature del traliccio metallico a vista che forma il tetto (la punta, proprio) del grattacielo-matita. Per il resto, l’arredamento è standard, come quello di una Ikea di lusso! Ma è solo per una notte. E neanche un “bouchons” nei dintorni, quei bistrot caratteristici della regione dove si mangia una eccezionale cucina con cibi della tradizione locale. Pazienza, rifarò una visita qui e poi ve la racconterò, come sempre.
Venerdì – Da Lione
Il giorno dopo, partenza alle prime ore del pomeriggio con il Lione-Barcellona, senza cambiare fino a destinazione. Mi aspetto di godere un po’ di campagna francese, prima che scenda rapidamente la sera invernale. Vi ho già reso edotti di quanti incidenti di percorso mi capitino utilizzando il treno, quindi quando ci sono o un rallentamento o uno stop fuori luogo io provo sempre un tuffo al cuore: cosa succederà adesso? Perché ci siamo fermati? Quanto tempo durerà? E puntualmente mi è successo, dopo qualche minuto arriva l’informazione (perché almeno adesso si sono accorti che non possono lasciare la loro clientela all’oscuro): un animale sui binari, non ho capito se vivo o morto, ma sta di fatto che siamo fermi e non si sa per quanto tempo. Mi è capitato il suicidio, l’auto per traverso… Ma quella dell’animale devo aggiungerla come novità. Inutile agitarsi, prendo un libro e aspetto, Per fortuna non ho coincidenze da perdere. Dopo circa un’ora si riparte. La RENFE, ferrovia spagnola, rimborsa ma solo quelli che hanno un biglietto loro, io l’ho acquistato in una stazione svizzera, quindi nulla da fare. Non è grave. Vicina al finestrino contemplo il paesaggio fino a quando c’è un po’ di luce e si stagliano le ombre scure degli alberi. Ho l’impressione che questo, più che un TGV, sia un accelerato vecchio stile. Girona, Figueres, il territorio iberico è già immerso nella notte, ma mi accoglie l’abbacinante biancore dell’Estació Sants. Luminosissima anche dentro. Dovevo arrivare alle 19,30, ma il ritardo è confermato.
Venerdì – L’arrivo
L’ora è uguale alla nostra ma in realtà occorre abituarsi ad un altro fuso orario. Mentre il taxi sfreccia nella notte vedo sciamare le persone nelle strade, come da noi a mezzogiorno, se penso ai nostri deserti serali. Gente del posto che se vuole può anche andare a farsi una messa in piega alle dieci di sera. E alle tredici, soprattutto nei weekend, saranno ancora alle prese con il caffè della prima colazione. Questo lo so già e con i miei orari mai regolari non avrò problemi ad abituarmi. Torno a Barcellona che, ormai, dopo l’esplosione turistica, avevo giudicato invivibile, ora vi darò un primo consiglio: andateci in inverno, clima mite (durante il mio soggiorno dagli 11 ai 15 gradi, un solo giorno di pioggia, quello della partenza!), nessun affollamento di stranieri e pochissime code, anche per i luoghi più visitati come la Sagrada Família o Casa Battló: in meno di un quarto d’ora ero dentro, roba da non credere vero?
Tanto non si viene qui certo per fare i bagni, molte spiagge sono artificiali, ci sono tratti non balneabili e altre zone della Spagna molto più belle, frequentate dagli stessi catalani. L’unico svantaggio è che fa buio presto e i musei in genere chiudono verso le 18, però si guadagna tempo, evitando appunto le lunghe attese (che colpiscono anche chi ha comprato il biglietto online, perché oggi è la maggioranza).
Eccomi arrivata, alberghetto scelto da me personalmente, in una piazzetta quieta, almeno d’inverno, dominata dalla facciata della chiesa Sant Agustí. E l’hotel infatti era un convento una volta, le stanze hanno travi e muri a vista, sotto vetro anche pagine di libri dei conti dei religiosi, presumo dai numeri, un balconcino si affaccia sulla piazza, nei corridoi tappezzerie con immagini di libri che mi ricordano il tromp l’oeil scenografico di Fornasetti, che anch’io possiedo… Mi troverò bene e con il mio nome mi sento proprio a casa. Rispolvero lo spagnolo imparato da autodidatta sui libri di Lorca (con testo originale a fronte), ma quasi tutti sanno un po’ d’italiano e soprattutto, più che l’inglese, va molto il francese. Zona confinante. Io però vorrei familiarizzare con il catalano; delle ultime proteste in giro restano striscioni su qualche facciata a reclamare l’indipendenza, a rivendicare un orgoglio nazionale. È qui comunque la parte più creativa, ribelle, provocatoria e innovativa della Spagna, non c’è dubbio. E subito, dopo essermi sistemata, mi fiondo nel vicino ristorante, per rifare il gustoso incontro con le tapas che adoro. Ma state attenti dove finite, scegliete con cura i ristoranti e la misura della bontà è l’attesa: se vi servono troppo in fretta, vuol dire che le hanno tirate fuori dal frigorifero! Poi ci sono i bar che ne hanno una larga scelta sul bancone.
Intanto preparo la tabella di marcia, visita quartiere per quartiere e rigorosamente a piedi! Con la metropolitana non si vede nulla e i bus sono troppo veloci, molti vanno in bicicletta, ma poi posteggiarla ogni volta fa perdere tempo. Farò tratti anche lunghi, da marciatrice, ma tra una meta e l’altra, c’è tutto un percorso da riscoprire o scoprire, perché dall’ultima visita alcuni luoghi sono stati riaperti, dopo annosi restauri, oppure resi visitabili per la prima volta. Intanto so già che farò un’abbuffata di Gaudì. Seguitemi.
1 – Continua