Che la speranza implichi innanzitutto assumere la prospettiva dei giovani, è stato sottolineato durante il Festival della Dottrina Sociale a Verona dal 25 al 28 novembre sia dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che dal Ministro per le Pari opportunità e la famiglia Elena Bonetti. Mentre quest’ultima ha presentato i programmi governativi che investono sul lavoro e hanno come priorità i giovani, Mattarella ha sottolineato che la speranza e la fiducia nel futuro, indispensabili per uscire dalla crisi della pandemia, dipendono inscindibilmente dalla crescita dei giovani di cui l’intera società è responsabile. Precisamente questo appello, letto in apertura del Festival, è stato ripreso da Mons. Nunzio Galantino, Presidente dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, intervistato in conclusione dell’evento da Luciano Fontana, sottolineando che la crisi della formazione oggi si esprime soprattutto nella «scarsità di strumenti critici che vengono offerti con serietà e continuità».
È questa la vera sfida culturale contro la semplificazione populista che si esprime poi nella perdita del bene comune per il prevalere degli interessi lobbyistici. Accanto all’evidente riduzione della complessità dei discorsi politici, durante questa pandemia stiamo infatti assistendo ad un «lievitare dei grandi egoismi». In fondo, come fa comprendere il prelato, populismo e prevalere di interessi egoistici sono due facce della stessa medaglia, e si basano sull’oblio della consapevolezza che il bene comune è molto di più che la somma dei beni individuali. Un riflesso diretto di queste tendenze di disgregazione egli lo vede anche nella mancanza di un partito popolare (che è il contrario del “populismo”) di ispirazione cattolica: dato che la “diaspora” dei cattolici in politica non ha portato risultati nel senso di un sostanziale contributo “dei cattolici” alla politica, bisognerebbe senz’altro considerare la possibilità di una nuova organizzazione partitica, a patto che non sia una semplice “riproposta” della DC e che non sia la realizzazione di «qualche prete o qualche vescovo».
Ragionamenti, questi di Galantino, che riprendono anche la riflessione di Rocco Buttiglione svolta durante il Festival sulla democrazia come processo inclusivo: innanzitutto egli ha definito lo specifico riduzionismo del populismo come l’errore di volere un «popolo senza la classe dirigente» e come meccanismo in cui i cittadini diventano ridotti ad elementi “passivi” nella “costruzione del popolo”. Questo meccanismo viene certamente agevolato anche dalle nuove tecnologie. Così Buttiglione ha ripreso le considerazioni di Flavio Felice che sottolineava l’importanza etico-politica di considerare l’inclusione come una dinamica nei confronti dei cittadini che fa passare l’escluso dalla «condizione di estraneo e di disadattato a quella di integrato e soggetto attivo». Come il riduttivismo, il quale esclude questa dinamica sociale virtuosa, sia diventato l’ideologia del mondo dopo il crollo del muro di Berlino, ha tematizzato Giulio Tremonti durante l’apertura del Festival, chiamandolo «mercatismo». Inoltre ha delineato come questa «software della globalizzazione» sia stata scardinata dalla pandemia, auspicando che i talenti, di cui ha parlato Papa Francesco nel suo videomessaggio per il Festival, saranno messi più in servizio delle persone che non «dei banchieri e degli algoritmi».
La mancanza di complessità ha delle conseguenze concretamente negative innanzitutto riguardo a due concetti che sono diventati veri e propri “slogan” del nostro tempo: “sostenibilità” e “natura”. Sembra che qualsiasi ragionamento critico-differenziato in merito a questi due termini sia ormai inteso come atteggiamento contro lo Zeitgeist, ma Mauro Magatti e Davide Rondoni fanno capire come, senza una dovuta complessità, essi facilmente diventano pericolosi. L’impresa della sostenibilità, per Magatti, sta infatti nella serietà del compito di ricostruire il tessuto sociale, ricucendo la frattura che si è creata specialmente dal 2008 in poi. Bisogna però considerare che l’attuale crisi consiste nel fatto che i processi di sostenibilità e digitalizzazione esprimono inevitabilmente una spinta alla “verticalizzazione” sociale. Che cosa significa “verticalizzazione”? Magatti la intende come la tendenza alla centralizzazione del potere in politica e nelle istituzioni democratiche, mentre nell’economia si esprime nel favorire le grandi imprese e i grandi capitali. Da tutte le parti oggi si richiede un «autoritarismo di grado variabile», che ci pone di fronte a gravissime sfide di esclusione, perché produce invece che diminuire quelli che Papa Francesco ha chiamato gli “scarti sociali”. Per evitare che la sostenibilità e la digitalizzazione – di cui non possiamo fare a meno e che giustamente sono i termini centrali del nostro tempo – non peggiorino i problemi di autoritarismo e di esclusione, bisogna capire e realizzare socialmente che prima di essere individui, siamo relazione. E inoltre bisogna essere consapevoli e realizzare – contro il riduzionismo propagato da molti – che la sostenibilità è una «cosa scabrosa» ma innanzitutto molto costosa. Proprio come integrazione di tale argomento, si devono ricordare anche le riflessioni di Giovanni Grandi sulla necessità dell’etica pubblica, ossia che la vita pubblica e quella privata sono unite, e che per realizzare la sostenibilità dobbiamo trovare una nuova sintesi tra entrambe.
Per quanto riguarda invece l’appello ecologista di tornare all’armonia e all’“innocenza” della natura, Rondoni ricorda la voce dei grandi poeti che da Dante a Leopardi ed altri hanno espresso la sensibilità critica che l’equilibrio tra uomo e natura è più complesso che un naturalismo ingenuo oggi afferma. Quella di una “natura pura” – che non a caso può essere anche sfruttata a fini ideologici –, è una mera illusione o astrazione. Per trovare nuovi equilibri, capaci di complessità, bisogna infatti tornare al significato originario di “natura” che viene da “nascita”, che significa innanzitutto la consapevolezza dei limiti della nostra autodeterminazione. Riecheggia così nelle sue parole la critica all’autonomismo individualistico che già Buttiglione ha formulato nei confronti di una visione kantiana del soggetto moderno e che porterebbe ad un egoismo autoreferenziale e poco complesso, appunto perché esclude la costitutiva relazionalità dell’essere umano. Invece proprio il concetto di Papa Francesco, cioè l’ecologia integrale, come sottolinea Rondoni insieme a Magatti, sarebbe l’adeguato modo complesso di considerare la connessione universale del “sistema terra”, come veniva sottolineato anche da Gianluca Galletti, presidente nazionale dell’Unione cristiana imprenditori dirigenti (UCID), in un suo intervento durante il Festival.
È certamente impossibile riassumere un programma ricchissimo che oltre conferenze, tavole rotonde e presentazioni di libri, ha riunito una cinquantina di giovani intorno alle “tavole pensanti”, e ha premiato delle “imprese virtuose” per il loro impegno per il bene comune, dando realtà visibile alla Dottrina sociale. Persone di ogni parte della società – politici ed imprenditori, lavoratori e poeti, professori e giovani, ministri e dirigenti, esponenti della Chiesa, giornalisti e rappresentanti del terzo settore ecc. – hanno contribuito alla sensibilizzazione per il bene comune nella sua complessità. Vale senz’altro la pena rivedere le registrazioni che si trovano facilmente nel canale Youtube del Festival.
Durante la messa finale, presieduta dal Segretario di Stato Vaticano, Card. Pietro Parolin, è stato ricordato ancora Don Adriano Vincenzi, l’ideatore del Festival, che l’anno scorso è morto prematuramente e che ci ha lasciato il monito che «la preziosità di una presenza sta nel fatto di conservare la libertà di essere attenti ai segni dei tempi senza lasciarci prendere dal rincorrere le cose». Proprio questo spirito nel riflettere sulle sfide più urgenti del nostro tempo è il valore aggiunto del Festival di Verona, ed è lo spirito dal quale emerge la speranza, non a caso la parola chiave dell’undicesima edizione di quest’anno. Questa presenza segnata dalla speranza non è una teoria astratta o un’analisi teoretica del nostro tempo, e non accetta nemmeno il riduzionismo populista di quella complessità che noi siamo in quanto persone-in-relazione. Al contrario, essa è concreta, e per questo, come ha sottolineò sempre Don Adriano, «solo persone interiormente rinnovate potranno fare cose nuove: possiamo permetterci anche tempi lunghi se le radici da cui partiamo sono solide e sane». Anche quest’anno, il Festival ha portato avanti questo contributo al “cambiamento d’epoca” che stiamo vivendo, incarnando la speranza nella storia cambiandola invece che subendola, come ha riassunto il presidente della Conferenza episcopale italiana Card. Gualtiero Bassetti citando Don Tonino Bello.
Markus Krienke