Se la Cina di oggi è la seconda economia del pianeta lo si deve soprattutto alle riforme economiche di Deng Xiaoping, il tiranno visionario successore di Mao Zedong, scomparso venticinque anni fa. Parte della minoranza degli Hakka, dunque di bassa statura, Deng è stato uno dei giganti del Novecento. Nato nello Sichuan in piena decadenza dell’impero Qing, fece studi in Francia; poi perfezionamento ideologico comunista a Mosca. Ebbe un ruolo di primo piano nella lunga marcia (1934-1935), nella seconda guerra sino-giapponese (1937-1945), nella guerra civile cinese (1945-1949). Partecipò all’annessione del Tibet e alla stagione del Grande balzo in avanti (1958-1962), fino ad essere vittima della Rivoluzione Culturale (1966-1976). Accusato dall’amico Mao di essere di destra, nel 1967 andò in prigione, dunque in esilio. Riabilitato nel 1974, divenne vicepremier di Zhou Enlai. Dopo una seconda purga e la morte di Zhou e Mao venne reintegrato dal Primo Ministro Hua Guofeng.
Nel 1977 propose le zone economiche speciali in Cina, che consentirono al paese di uscire dall’estrema povertà e di diventare la “fabbrica del mondo”. Difatti, dal 1979 al 2017 la Cina è cresciuta con una media del 9.5 per cento annuo. Al vertice della Repubblica Popolare aprì al libero mercato e sprigionò le forze del Dragone. Prese le redini del Partito-Stato e lo traghettò verso l’apertura al mondo e ai flussi commerciali. Dal caos alla stabilità. Tra incentivi e liberalizzazioni, restaurazione della proprietà privata e riduzione dello Stato nell’economia, dal 1978 al 1992 Deng Xiaoping aprì al capitalismo, mantenendo l’assetto totalitario comunista in un nuovo “Socialismo con caratteristiche cinesi”. Tuttavia, non voleva abolire l’impero comunista, ma era aperto ad investimenti e all’integrazione nell’economia mondiale. Umile ed ambizioso, Deng Xiaoping fece guarire la Cina dal fanatismo vanaglorioso di Mao.
Il suo: «Non importa di che colore sia il gatto. L’importante è che acchiappi i topi» era lo slogan perfetto per giustificare apertura e preservazione del totalitarismo. Leninista realista, capì che doveva scendere a patti con gli americani. Fu un modo per differenziarsi dall’URSS, con cui la Cina aveva pessimi rapporti. Nonostante le aperture economiche, come Mao, anche Deng era ossessionato dalla stabilità del paese. Quindi supportò feroci repressioni del dissenso. Sia in patria che all’estero. Quando il Vietnam aggredì la Cambogia, sostenne i Khmer Rouge di Pol Pot. Tiranno crudele ed intelligente, autocrate visionario e realista, Deng corresse orrori ed errori della Rivoluzione Culturale. Mantenendo la centralità del PCC, avviò una perestroika anzitempo. Il programma di “Riforma e apertura” inaugurava una nuova fase in Cina, così come la nuova costituzione del 1982.
Questa stabiliva anche il termine dei due mandati per le altre cariche istituzionali; vincolo poi abolito da Xi Jinping quarant’anni dopo. Suo anche il concetto di “un paese due sistemi” nell’ambito del ritorno di Hong Kong nella Repubblica Popolare nel 1997 e di Macao due anni dopo. Deng non si fece scrupoli a praticare il killeraggio politico che aveva subito sulla sua pelle. In ossequio alle faide di potere nel PCC, defenestrò Hua e lo rimpiazzò con Zhao Ziyang. Sotto Deng, l’ampliamento industriale andò oltre ogni previsione. All’impennata dell’export seguì quella della corruzione nel partito, nonché del deterioramento ambientale. Fu Deng Xiaoping ad ordinare di fare fuoco in Piazza Tienanmen il 4 giugno 1989. Sì al capitalismo, no a libertà e democrazia. Dopo Tienanmen, molti credettero che la Cina sarebbe tornata nel cono d’ombra: non fu così.
Grazie alle riforme di Deng Xiaoping, la Cina ha continuato crescere. Il collasso dell’URSS nel 1991 consolidò nell’anziano leader la convinzione che la crescita economica era cruciale per le potenze geopolitiche. Come Mao e a differenza di Nikita Krusciov e Leonid Brežnev, Deng preferì consolidare il dominio del partito all’interno del paese piuttosto che esportare l’ideologia comunista. Considerava Mikhail Gorbaciov un idiota e condannò la sua glasnost. Oggi come allora, la Cina preferisce espandersi commercialmente, piuttosto che ideologicamente. Deng Xiaoping aveva capito l’importanza di liberare il potere creativo della società cinese e di aprire al mondo un paese post-rivoluzionario. Tuttavia, come testimoniano la sua ascesa ai vertici del PCC e i fatti di Piazza Tienanmen, Deng non nascose mai la sua vera natura di tiranno brutale e innovatore.
Amedeo Gasparini