Si chiude il sipario sull’Ariston e i 24 big in gara per questa 69esima edizione del Festival della canzone italiana e il premio va a Mahmood con la sua Soldi. La canzone, da lui scritta insieme a Dardust e Charlie Charles, parla dell’essere cresciuti in periferia, un tema che ricorre nel rap delle seconde generazioni, di povertà, della difficoltà di stare al mondo. Ma anche e soprattutto di un padre assente, che non torna, e che viene ricordato nel sound arabo della seconda parte del brano.
Ma che bilancio si può fare delle varie serate del Festival? In mezzo ad artisti di ogni genere – attori, ballerini, cantanti, musicisti che suonano pop, traop, reggae, soul, rock, classico – come sempre c’è stato spazio per tutto, per i cliché trascinati, triviali, ma anche per una nota di spiritualità riparatrice. E allora la cosa più bella è seguire quel filone di “discorsi inaspettati” che hanno attraversato, di serata in serata, tutto il Festival. Originali, ad esempio, quei cantanti che hanno cantato, paradossalmente, la difficoltà di “trovare le parole” per esprimersi. Da Nek, che dedica l’intera canzone “Mi farò trovare pronto” a quei “libri di milioni di parole”, di cui “ce ne fosse almeno una per essere all’altezza dell’amore” a Ultimo – arrivato secondo – nella sua “I tuoi particolari”, che chiede direttamente a Dio di ispirargli parole nuove: “Se solamente Dio inventasse delle nuove parole potrei dirti che siamo soltanto bagagli, viaggiamo in ordini sparsi. Se solamente Dio inventasse delle nuove parole, potrei scrivere per te nuove canzoni d’amore e cantartele qui”. Temi grandi, che emozionano e spalancano l’orizzonte ad esiti imprevedibili: quando l’uomo – anche il cantante, con il microfono alla mano – incomincia, umilmente, a constatare la propria incapacità di esprimersi, la propria “piccolezza”, allora si fa largo anche la possibilità di una dimensione altra, che può essere anche quella della spiritualità. Sanremo è anche questo, la capacità stessa della musica di riflettere su se stessa. Sono solo canzoni…ma a Sanremo c’è spazio per tanto altro ancora.
Anche per quei ricordi tutto sommato memorabili per la loro intensità; mentre Baglioni ricorda giustamente la tragedia del Ponte Morandi – di cui si incominciava il definitivo smantellamento in questi giorni – Bisio è protagonista di uno dei momenti più originali (non senza qualche espressione un po’ bassa e scurrile, secondo un tipico “compromesso”): quando sul palco dell’Ariston sale Anastasio, il vincitore dell’ultima edizione di X-Factor che arriva a sorpresa per completare il monologo del comico sulla difficoltà di essere padre, tratto da “Gli sdraiati” di Michele Serra. Anastasio risponde con il testo inedito, “Correre”. Le battute sono serrate, a tratti anche scontate, ma almeno la riflessione è attuale: in una società che non promette che una manciata di certezze, quanto è difficile essere padri oggi ed entrare i sintonia con una generazione sempre più distante? Una domanda che ne fa nascere, a ben vedere, subito un’altra, che ormai ossessiona il Festival già da qualche anno: come può raggiungere Sanremo questa generazione, i cui gusti musicali sono totalmente cambiati? E la critica a questo proposito si accende facilmente: c’è chi ha detto – lungo tutto il Festival – che la vera musica a Sanremo l’hanno portata gli ospiti delle varie serate, ma non i big in gara. Una polemica che, di festival in festival, si riaccende.
Laura Quadri