Il biglietto del treno per Varsavia lo mette nero su bianco: non si garantiscono posti a sedere su questa tratta. Alle 8 del mattino il treno da Lublino verso la capitale polacca è gremito di gente. Non semplici pendolari, come è il caso su questo percorso nei giorni feriali. Da oltre un mese questa linea trasporta anche i profughi che scappano dall’Ucraina. Sul display dello sportello si legge Kiev Express. In molte stazioni ferroviarie delle città polacche ci sono cartelli con bandierine ucraine per aiutare i profughi ad orientarsi. I posti a sedere del treno diretto a Varsavia da Lublino, città vicina alla frontiera con l’Ucraina in guerra, sono in effetti tutti occupati. Negli scompartimenti, un’aria calda. Vetri appannati. Atmosfera gonfia di odori, filtrati dalla mascherina, che in treno non porta nessuno. Dalla guerra al coronavirus si è passati alla guerra a suon di bombe.
E girando per stazioni e treni polacchi sembra proprio che una guerra abbia davvero cancellato l’altra. Cosa irrituale, il passaggio delle forze dell’ordine tra i vagoni. I poliziotti non controllano i biglietti, ma si accertano che sia garantito ordine durante la marcia. Sia sulla piattaforma alla stazione di Lublino che poi su quella di Varsavia Est, sono gli agenti in blu a gestire i flussi umani. Donne anziane e bambini dormono ancora oltre i vetri degli scompartimenti. Molte cabine hanno ancora le tende tirate. Il sole, che sorge presto in Polonia in questa stagione, non è ancora entrato nelle carrozze e non dà cenno di comparire sull’avvenire dei profughi, che hanno lasciato molti famigliari. Altri passeggeri, pochi per la verità, sconfiggono il buio e mostrano ai passanti del corridoio la vita all’interno dello scompartimento. Spesso e volentieri accampamenti provvisori. Piccoli focolari per una notte.
Tanti cani e i gatti nelle gabbiette da viaggio; i bagagli di tutti i colori accatastati sulle cappelliere. C’è silenzio sul Lublino-Varsavia. Prima e seconda classe sono indistinguibili. C’è la fila per i servizi igienici. La poca acqua non potabile delle cisterne dei vagoni è la doccia del mattino per i viaggiatori. Alcune donne in coda hanno occhiaie pesanti; una stanchezza che riflette in viso tutto il viaggio dall’Ucraina alla Polonia orientale. Sono gli occhi della guerra, che si abbatte sui civili, che distrugge case, vite, abitudini. Quanti treni dovranno ancora prendere questi profughi? Li aspetterà qualcuno a Varsavia, o altrove? In Polonia, viaggiano gratis sui mezzi pubblici. La macchina dell’accoglienza del governo polacco è stata notevole. Lo sforzo organizzativo che ha consentito di ospitare quasi due milioni di ucraini – il numero più alto al mondo – è impressionante. Ad accogliere i profughi, un’associazione umanitaria.
Alla stazione di arrivo, la polizia aiuta le anziane a calare i bagagli pesanti dal treno. Vedono quindi il sole, oscurato dalle tendine delle carrozze. Alcune hanno qualcuno che le aspetta, altre no. Alcune giovani torneranno indietro, a casa, dai mariti impegnati nella resistenza. A Varsavia Est, così come nelle stazioni di Katowice, Gliwice, Breslavia e Cracovia, sono stati predisposti spazi con servizi per l’accoglienza. Giovani e anziani volontari danno il benvenuto ai viandanti. Hanno un cartello in cirillico; si danno il cambio con altri cooperanti, almeno fino a mezzanotte. Nei piccoli stand dell’accoglienza c’è chi serve tè e caffè caldo. Dalle vetrine si vedono pacchi di pannolini, orsacchiotti di peluche, caramelle, panini, frutta, dispositivi medici di primo soccorso. Un luogo di ristoro, di pausa dalla paura. Di terra ferma. Al riparo dal rumore, dalle bombe. Per questi profughi, un viaggio è appena finito. Ne comincia un altro.
Amedeo Gasparini