A coloro i quali domandavano quando sarebbero terminati i lavori della Sagrada Familia: Il mio cliente non ha alcuna fretta. Dio ha tutto il tempo del mondo.
(Antoni Gaudí)
Martedì – La Sagrada família
Tutte le strade portano alla Rambla, almeno per me, in questi giorni. E quindi eccomi qui di nuovo, ma questa volta prendo l’altra direzione verso la meta delle mete, per chiunque arrivi a Barcellona; sarà un lungo cammino, ma durante il percorso troverò tanti edifici da ammirare e visitare. Risalgo verso La Rambla dels Estudis, il mercato degli uccelli non c’è più; è dominata dall’Església de Betlem, chiesa barocca più volte distrutta e ricostruita. Mentre dall’altra parte si nota il neoclassico Palau Moja. L’ultimo tratto, La Rambla de Canaletes, dal nome di una fonte pura e magica, conduce ad uno dei punti di riferimento e diramazione, Plaça de Catalunya, mi dirigo a destra per imboccare il Passeig de Gràcia, ampio viale, corredato da negozi e marchi famosi, mi trovo in un altro orizzonte, rispetto al cuore storico di Barcellona. Adesso si tratta solo di macinare chilometri, fermandosi per le visite di rito, sarà immersione a tutto Gaudì e compagni. Senza distrazioni, sulla strada del Modernismo. Sono raggruppati alla mia sinistra, gli edifici. Prima m’imbatto nella facciata e nell’atrio di maioliche floreali di Casa Lléo Morera di Domènech i Montaner, ma sono fuori orario di visita. Poi nel Museo del Perfum che in realtà è un negozio molto commerciale che ospita solo nel retro l’allestimento di boccette antiche e di utensili in tema, ma io ho già visto quello ben più importante di Grasse e proseguo. Mi soffermo un po’ invece alla Casa Amatller di Josep Puig i Cadafalch, ne ammiro la scalinata sfarzosa in stile modernista, le colonne, le vetrate, l’ascensore, e scambio due parole con il portiere. Fu restaurata nel 1900 dall’industriale del cioccolato a cui deve il nome e la visita guidata si conclude con una degustazione. Un filmato senza audio, che si può vedere all’entrata, ha sceneggiato uno spicchio di atmosfera d’allora, sullo sfondo degli interni, con lo svegliarsi dei padroni di casa, le attività della signora e la preparazione del signore, prima di uscire, i lavori della cameriera, tra salotti, bagni e stanze da letto.
Per me è sufficiente, perché è troppo presto per la visita guidata e vedo già una piccola coda nell’edificio adiacente, che è la mia prima vera destinazione: Casa Battlló, beh, qui siamo in un altro mondo, quello visionario, fantasioso di Gaudì, non una retta, perché in natura non esiste, aerea tra smalti colorati, vetrate prismatiche, le ondulazioni di colonne, le influenze orientaleggianti nella piastrelle turchesi, ringhiere, balconcini e terrazze, motivi ornamentali in ferro battuto di una leggerezza naturalistica; anche i più minuti particolare che testimoniano l’avanguardia ergonomica dell’architetto. Sono davanti ad uno degli edifici più singolari d’Europa che neanche le più bizzarre illustrazioni fiabesche hanno saputo immaginare. I soprannomi, casa delle ossa o del drago, identificano le apparenze delle finestre come enormi mandibole. Il drago e San Giorgio ne costituiscono il simbolico leitmotiv. Ho parlato di coda, la prima che incontro in questa città, ma in un quarto d’ora sono già dentro. Chi soffre il mal di mare è meglio che ne stia lontano, perché all’interno sembra di essere su un vascello, imbarcati in un eclettismo onirico difficile anche da descrivere, tra spicchi di cielo, costellazioni, lampadari avvolti su se stessi, cortili interni che si slanciano verso l’azzurro che si apre sopra di loro. Nei locali di servizio sembra di entrare nel ventre di una balena, passando sotto archi-costole. Una girandola di cerchi acquatici, di legni-rami, di scalinate ondulate, di motivi che rimandano a giardini fioriti. E naturalmente la quintessenza si raggiunge sul terrazzo con i comignoli ubriacati dagli incastri sinuosi di cromatiche piastrelle, da creste di verde smagliante, tra cui spicca una croce.
Proseguo e, dall’altra parte della strada, mi viene letteralmente incontro Casa Milà, altro capolavoro di Gaudì, noto comunemente come La Pedrera, per la pietrosità che ne contraddistingue la facciata, siamo sempre ad inizio novecento e questa stravaganza, che spiccava nel quartiere, fu piuttosto criticata. All’interno attirano subito l’attenzione dei visitatori su quell’ampio e curvilineo percorso che doveva permettere ad un’automobile di entrare e trovare un parcheggio privato per il proprietario che fu uno dei primi barcellonesi a possedere un’automobile. L’organicità si spinge ancora più all’estremo, richiamando l’estasi di una foresta tropicale. Un linguaggio decorativo nutrito dall’immenso libro della natura che rimanda a farfalle, coleotteri, fiori, stelle marine, funghi, alveari… Anche qui salendo sul tetto, si trova l’apoteosi inventiva di Gaudì con quei massicci ma al tempo stesso leggiadri comignoli in guardia come soldati medievali, tra scalette, ponticelli, reticelle, ringhiere, mentre lontano, come quasi da ogni alta terrazza di Barcellona, spicca la sagoma mistica della Sagrada… È tempo di avviarsi.
Giunta in Plaça de Joan Carles piego a destra sulla trafficata Diagonale, sempre dritta, fino ad incrociare il Carrer de Sardenya, entro in una zona un po’ desolata, ma rieccola, con le sue eterne impalcature, due facciate completate, quella della Natività e quella della Passione, quest’ultima molto diversa dalla prima, con le sculture di Subirachs, controverse proprio per lo stile lontano da quello di Gaudì. Ma adesso non è che mi metto a raccontare quest’opera di una vita e di fede, oltre che d’arte, in eterno divenire. Si pensa che i lavori termineranno tra gli anni ’20 e i ’40… Chissà. Sono uscita dall’albergo alle nove del mattino e acquisto il biglietto della Sagrada Família alle 15.30… Tanto per rendere l’idea, ma l’ora è quella giusta per goderne la luce nel suo cambiamento verso il tramonto. Dopo aver gironzolato all’esterno, finalmente entro e mi godo subito gli “oh” che escono dalle bocche dei turisti di tutto il mondo, molti giapponesi, anche se ripeto ancora ho fatto pochissima coda, rispetto alle visite estive… Chi la visita per la prima volta non se l’aspetta, non si aspetta di essere travolto da un’ascesa di mistico ascetismo architettonico di questo livello, un vortice che ci spinge vertiginosamente verso l’alto, tra le foreste di colonne di vari materiali e le vetrate… Non si può non credere… Quando entro sono immersa in una luce ancora incandescente che, a poco a poco, diventerà meno intensa, ma più calda; dove spiccano, i rossi e i gialli si attenuano, lasciando una trasparenza meditativa e ombreggiata; mentre mi aggiro per questa incommensurabile vastità, penso che è la meravigliosa conclusione di una giornata così lunga, così ricca di bellezza.
5 – Continua