È la volta di Lugano per lo spettacolo del drammaturgo tedesco Marius von Mayenburg, Il cane, la notte e il coltello, scritto nel 2008 e di recente riadattato dal regista Marco Taddei per la nuova produzione Cambusa Teatro.
Gli spettatori presenti nella serata di ieri al Teatro Foce sono stati sin da subito proiettati nell’incubo che vive il protagonista della vicenda, il quale, illuminato dalla fioca luce di un lampione, appare spaventato e disorientato. L’uomo, impersonato da Paolo Li Volsi, confessa di non sapere dove si trovi: l’ultimo ricordo che ha è quello di un conviviale pasto a base di ostriche consumato con degli amici. Non dovrà attendere molto che vedrà emergere dal buio in cui è immerso un inquietante vagabondo (interpretato da Matteo Sintucci) che, subito dopo avergli chiesto se avesse visto il suo cane, lo minaccia con un coltello, intimandogli di non urlare perché nessuno avrebbe potuto soccorrerlo. Nel caos della colluttazione è il protagonista ad avere la meglio, che, scioccato dall’accaduto, e intenzionato a denunciare il fatto, si reca in una casa per telefonare alle autorità.
Ad accoglierlo sarà una ragazza, brillantemente interpretata da Valeria Angelozzi, che, come scoprirà ben presto lo stesso protagonista, sarà l’unica figura positiva che incontrerà nel viaggio infernale che sta per intraprendere. Ben disposta ad aiutarlo, va lei stessa a comunicare l’accaduto alla polizia, ma non prima di aver avvertito il forestiero di non parlare con sua sorella. Il protagonista, durante l’attesa, fissa un orologio, sul quale, nota incredulo lo stesso, le lancette non scorrono ma sono sempre puntate sulle 5:05. Il sole avrebbe dovuto sorgere, eppure regna il buio, il tempo dovrebbe scorrere, e invece è immobile. Interpretando l’orario dell’orologio come un segnale di pericolo – i numeri, ipotizza l’uomo, compongono l’acronimo SOS, Salvateci o Soccombiamo – il protagonista compie un’azione pericolosa, nella speranza che avrebbe condotto alla fine dell’incubo. Decide così di andare a parlare alla sorella della ragazza che lo ha accolto, la quale, è completamente folle e lo sedurrà solo al fine di avvicinarlo e poterlo azzannare.
Perché lì, in quel paese maledetto, dagli scenari apocalittici, il cibo è solo un lontano ricordo e tutti gli abitanti sono terribilmente affamati, e pronti a divorarsi l’un l’altro. L’uomo imparerà ben presto che non arriverà nessuno a soccorrerlo, e che uccidere è l’unico modo che ha per sopravvivere. Pugnalerà così anche la sinistra donna che si scoprirà essere sorella del vagabondo.
L’incubo del protagonista continuerà in un vortice senza fine, ove gli si ripresenteranno, in vesti diverse, gli stessi personaggi: la donna assassinata riapparirà come una carcerata, poi come il suo avvocato e infine come un’ambigua infermiera, mentre il vagabondo sarà dapprima un poliziotto, in seguito un paziente, poi un folle dottore e per finire un cane randagio. L’uomo, scoprirà poi che in quel mondo di folli, maligni e vampireschi personaggi non vi sono i luoghi che lui conosceva: la caserma si trasforma in prigionia e l’ospedale in un covo di fanatici con i camici sporchi di sangue.
Il protagonista, per sfuggire alla scia di morti che si è lasciato alle spalle, scapperà in una steppa, ove incontrerà il randagio sfuggito al vagabondo che, nel frattempo, si era unito ad un branco di lupi. Non appena compare la ragazza che lo aveva accolto nella sua casa, il cane cerca di convincere l’uomo a uccidere la donna. Il protagonista, non solo la salva uccidendo l’animale, ma si dichiara persino pronto ad offrire lei le sue carni per sfamarla perché, come tutti gli altri, era terribilmente affamata. La donna, sebbene tentata, non lo ucciderà, e lo spettacolo si chiude con i due che, spaventati, siedono l’uno accanto all’altro nel folto della steppa.
Si chiude così il perturbante spettacolo di Marco Taddei che, ben lontano da un lieto fine, sembra suggerire che l’incubo per il povero protagonista non avrà mai fine. Gli spettatori del Foce hanno apprezzato questo riadattamento, seguendo l’evolversi degli eventi con il fiato sospeso e lasciandosi anche sfuggire qualche spontanea risata, complici le battute ironiche di cui è disseminato lo spettacolo. Una nota di merito va sicuramente a Matteo Sintucci e Valeria Angelozzi, i quali hanno saputo interpretare con grande maestria i cinque ruoli a loro riservati.
Lucrezia Greppi