«La natura e l’amore: sono questi, se dovessi scegliere, i due grandi vettori che definiscono il campo di investigazione e azione della poesia di Zanzotto, secondo Contini il più grande poeta italiano dopo Montale. La fede nella natura e nell’amore è, infatti, quel che di più prossimo, in lui, si avvicina al concetto di ispirazione. Fede nonostante tutto, nonostante il male leopardianamente presente nella natura e forse a maggior ragione nella storia e nonostante il dubbio e la paura che la domanda di senso dentro di noi sia destinata a rimanere disattesa. Zanzotto è poeta del “nonostante”, dell’ossimoro quale diagramma della nostra condizione. Capendo così molto bene quale sia l’epifania privilegiata di questa dialettica: la Pasqua». È un Andrea Zanzotto (1921-2011) meravigliato dalle cose, dal fare e disfarsi della vita, dalle infinite possibilità, per la natura e per il destino dell’uomo di intrecciarsi, evolvere, ricapitolarsi nell’Uno, quello introdotto lunedì sera, con queste parole, dal prof. Umberto Motta in occasione del terzo incontro del ciclo dedicato dall’Istituto di Studi italiani dell’Università della Svizzera italiana ai poeti del Novecento.
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