La dimensione borghese, ma poi anche un modo per evadervi, con la fantasia e la memoria, per tornare infine alla propria “casa” e alla propria quotidianità con uno sguardo nuovo, rinnovato dall’interno. Un percorso circolare, un viaggio che riprende e riparte a ogni verso, senza una fine che possa esistere indipendentemente dal suo inizio, versi profondamente relati tra loro, come nel “Nastro di Möbius”, invenzione matematica dello scienziato e studioso August Ferdinand Möbius, che presta il suo nome anche alla raccolta poetica di Luciano Erba (1922-2010), appunto intitolata Il Nastro di Möbius. Edita solo negli anni Ottanta, compendia – come spiegato dal prof. Stefano Prandi, direttore dell’Istituto di Studi italiani, lunedì scorso per il ciclo Poeti del Novecento all’USI – tutta la precedente produzione poetica del poeta milanese e «ripropone oltre a testi già editi, degli inediti, come la poesia La seconda casa. Möbius, con le sue ricerche, anticipò il concetto di iperspazio, ovvero una spazialità che supera quella tridimensionale: allusione, nel caso di Erba, ad una equivalenza tra esterno ed interno, l’uguale a sé stesso e il suo contrario, secondo quella reciproca permeabilità tra l’io e il mondo esplicitata soprattutto in alcune poesie della maturità».
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