È mancato Roberto Maroni: l’ex ministro aveva sessantasette anni. Il cordoglio unanime di colleghi e amici che salutano il lumbàrd gentile. Sin da piccolo era appassionato di politica. Da ragazzo, militò nell’estrema sinistra: in Democrazia Proletaria fino al 1979, fece anche lo speaker radiofonico. Laureato a Milano, conobbe Umberto Bossi alla fine degli anni Settanta. I due iniziarono a dar vita ad un progetto autonomista in Settentrione: nacque la Lega Lombarda. Consigliere comunale a Varese nel 1985, nel 1992 venne eletto con la Lega Nord alla Camera. Ministro degli Interni nel primo e quarto governo di Silvio Berlusconi – con cui ebbe sempre un rapporto di stima e – a dispetto del passato da “rivoluzionario”, gli anni quindici anni hanno visto Roberto Maroni diventare l’anima “buona” della Lega. Quella dialogante, istituzionale e tranquilla. Quella riflessiva e calma. Venne eletto segretario-“tampone” al momento dello scoppio degli scandali finanziari leghisti nel 2012.
Nel partito che non tollerava correnti, Roberto Maroni fondò la sua corrente: quelli dei barbari sognanti. Presidente della Lombardia dal 2013 al 2018, a fine mandato Maroni si allontanò progressivamente dalla vita pubblica attiva e iniziò a collaborare con Il Foglio alla rubrica “barbari foglianti”. Lo incontrai al trentacinquesimo piano di Palazzo Lombardia a Milano, quando era ancora presidente di Regione. Accordarsi per strappare un paio di quarti d’ora al governatore è stata un’impresa: abbiamo rinviato diverse volte, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Il 24 novembre 2016, sei anni fa, Roberto Maroni vestiva la sua divisa. Camicia bianca, cravatta verde, giacca blu e pantaloni neri. E poi gli immancabili occhiali con la montatura rosso-nera, un omaggio all’adorato Milan. Quando entrai era ancora al telefono: mi guardai attorno. All’entrata la bandiera: non quella della Padania e dell’Alberto da Giussano, ma quella italiana.
Il riconoscimento che alla fine la linea pragmatica aveva prevalso su quella barbara e razzista di una certa Lega. Bobo aveva messo la secessione del Nord in soffitta come fece con il Marxismo-Leninismo. La parete dello studio sembrava un negozio da sport, tra magliette e sciarpe personalizzate – “1 Bobo”, “Maroni”, “fuori dai Maroni”. Un ritratto di Bobo il barbaro padano disegnato da Benny di Libero. Alla fine dell’intervista avrei aggiunto un nuovo cimelio: dalla mia collezione, mi ero portato la prima pagina incorniciata del Corriere della Sera del giorno della sua vittoria in Lombardia e gliela regalai. Poche settimane prima della sua scomparsa, Maroni era in libreria con Il Viminale esploderà, scritto a quattro mani con Carlo Brambilla; un giallo-politico sulla scia del romanzo di Bill Clinton, The President Is Missing. Nel 2012 Alessandro Madron scrisse il libro Roberto Maroni. Barbaro o sognatore?: ma il leghista era tutti e due.
Amedeo Gasparini